Michelle Comi e la sua raccolta fondi su Gofundme sono il problema minore: stiamo guardando il dito e non la luna

Michelle Comi è al centro di un'accesa polemica per via della raccolta fondi che ha aperto su su Gofundme: ecco i motivi della raccolta.

La notizia è questa: Michelle Comi ha aperto una raccolta fondi per ottenere la cifra di quindicimila euro e rifarsi il seno. In meno di ventiquattro ore, la cifra stabilita è stata raggiunta, ottantasei persone hanno donato e la raccolta è stata chiusa.

Ora, potremmo cedere al rassicurante e allettante gioco al massacro verso chi ha donato i soldi a Comi, ma – capirete da voi – è semplicistico, riduttivo e sviante parlare di ottantasei persone che hanno raccolto quindicimila euro (in media 176 euro ciascuno). Quindi, se siete d’accordo con me, andrei oltre i vari «I coglioni vanno inculati», «La gente non fa beneficenza ma poi dona a una che vuole rifarsi il seno», «La gente è stupida». E sapete perché? Perché non parleremmo della “gente”, ma di ottantasei persone. Parleremmo di nulla.

Michelle Comi e la raccolta fondi per rifarsi il seno: è davvero lei il problema?

Parliamo, invece, di Michelle Comi, perché tanto so già che molti si chiederanno «Ma chi è?»: ecco, Michelle Comi non è nessuno, non sa fare assolutamente nulla, viene etichettata – dai più – come una ragazza poco intelligente, ma in verità ha una qualità che manca a molte altre personalità del web: dice apertamente, attraverso il suo personaggio, che è una caricatura di sé, che non ha talenti, che vuole farsi mantenere e che non ha nulla da offrire al pubblico che la segue. E dunque perché è tanto seguita? Perché appare insopportabile, svampita, vacua, disturbante, immorale (e badate bene che non ho usato aggettivi a caso). E lei ha capito bene che il suo personaggio funziona. Comi ha capito bene dove posizionarsi.

Mentre gli altri e le altre influencer si fanno in quattro per inventarsi delle competenze che non hanno e costruirsi una credibilità, lei fa l’esatto contrario: ammette di non saper fare e voler fare assolutamente nulla. Mentre le altre vendono vite perfette, costruiscono un business sui propri presunti difetti fisici, sui figli, su matrimoni luccicanti, su case arredate a suon di supplied, lei ammette serenamente di non voler vendere «false schede di allenamento che promettono risultati miracolosi, accessori per telefoni sovrapprezzati che trovereste a pochi centesimi su aliexpress, libri che non sono stati scritti da me». Michelle Comi ha riempito un posto vuoto che nessuno voleva occupare, ma che spetterebbe alla stragrande maggioranza degli influencer: il posto di chi non sa fare niente. Ma una cosa Michelle Comi sa farla: ammetterlo, trasformando tale mancanza in un punto di forza.

Michelle Comi non è il vero pericolo della nostra società

Io non so quanto Michelle Comi ci sia e quanto ci faccia, non so quanto sia consapevole del fatto che il suo personaggio, in un’epoca in cui ci si riconosce da soli meriti e talenti, sia rivoluzionario, ma una cosa la so per certa: Comi non è pericolosa. Gli influencer pericolosi, e purtroppo abbiamo già prova di ciò che dico, sono quelli che vendono vite artificiali, dorate, ma fragilissime, a gente che pensa di farne parte. Vite di cui siamo innamorati e che tentiamo maldestramente di imitare. Vite che hanno annullato la nostra già esile capacità di giudizio. Vite di cui ci sentiamo parte, dicevo, ma di cui siamo solo spettatori paganti. Vite che ci chiedono di donare soldi per un cane, un figlio malato, un appartamento da aggiustare, nonostante ostentino benessere e lusso ogni giorno. E noi doniamo, perché crediamo ingenuamente di farne parte, di essere burattinai, mentre siamo solo burattini.

Ecco, non parlerei degli ottantasei donatori di Michelle Comi, ma di chi, invece, è vittima del sistema degli influencer, a volte senza nemmeno accorgersene. Parlerei di una società sempre più assuefatta da influencer che si inventano competenze per restare a galla nel mare infinito del web. Parlerei di influencer pericolosi, come dicevo, che propongono prodotti dimagranti, piattaforme di psicologi, raccolte fondi di cui non sanno nulla, che monetizzano attraverso i figli, spesso piccolissimi. Parlerei di una società che punta il dito contro Michelle Comi, mentre fa una donazione all’influencer-imprenditrice che vive di adv e supplied, ma che chiede seimila euro per l’operazione del cane. E che, soprattutto, non blocca la raccolta fondi nonostante la cifra sia stata raggiunta.

Non è benaltrismo, il mio, perché considero Michelle Comi un personaggio destinato a consumarsi da solo. Il problema, piuttosto, è il fenomeno degli influencer, che non accenna ad arrestarsi, perché crediamo – ingenuamente – di non esserne vittime. E invece lo siamo.

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