La storia di Viareggio racconta chi siamo e quanto somigliamo ai nostri politici

L'omicidio di Viareggio non è solo un drammatico fatto di cronaca, ma è la fotografia del Paese che siamo oggi.

La storia dell’omicidio di Viareggio dice molto di noi. La vicenda, purtroppo, è ormai tristemente nota, ma è di altro che voglio parlare, ovvero della reazione della gente di fronte a una donna, vittima di uno scippo, che ha ucciso brutalmente l’uomo che le aveva appena rubato la borsa, inseguendolo con l’auto e poi investendolo più volte fino a lasciarlo a terra agonizzante.

Partiamo da una certezza granitica: l’Italia è un Paese razzista. La risolutezza con cui tante persone difendono Cinzia Dal Pino, l’assassina di Said Malkoun, è legata al fatto che si trattasse di un uomo non italiano e senza fissa dimora. Se fosse stato italiano, non sarebbero stati così indulgenti con lei.

L’Italia allo sbando: non conosciamo la differenza tra legittima difesa e vendetta

Ma c’è un altro aspetto che trovo particolarmente inquietante: per molti, legittima difesa e vendetta sono esattamente la stessa cosa. Dunque, una persona che non ha reagito d’istinto a un furto, ma ha inseguito lo scippatore, l’ha investito più volte, è scesa per riprendersi la borsa, l’ha lasciato agonizzante, non ha chiamato il 118 né le forze dell’ordine, è tornata al ristorante dove aveva cenato per restituire l’ombrello che le era stato prestato, è semplicemente una donna che si è difesa. Una vittima, in altre parole.

Questo fatto mette in luce una cosa: il problema non è il caso isolato di una persona che ne uccide un’altra per vendicarsi di uno scippo. Il problema è che molti lo ritengano legittimo, normale, anzi, consequenziale: se rubi una borsa, è plausibile che tu possa morire ucciso. Sei responsabile della tua stessa morte, in altre parole.

Matteo Salvini e la strumentalizzazione dell’omicidio di Viareggio

Del resto, è quello che ha detto Matteo Salvini, il cui talento è sempre stato uno soltanto: parlare alla pancia della gente, solleticare gli istinti più bassi, dire quello che molti non hanno il coraggio di dire, ovvero che un omicidio è sempre sbagliato, ma «se non fosse stato un delinquente, non sarebbe finita così». E badate bene alle parole che ha scelto di usare: non ha detto «non sarebbe stato ucciso da Cinzia Dal Pino», ma «non sarebbe finita così», come se la sua morte fosse inevitabile, fatale, già scritta. Insomma, l’unico protagonista (e colpevole) di questa storia, secondo la narrazione di Salvini, è Said Malkoun: lui ha scippato e lui si è condannato a finire così.

Dal Pino, dunque, non ha responsabilità: la sua azione è stata solo una conseguenza. E lo sarebbe stata davvero, se avesse dato una spinta allo scippatore o se, nel tentativo di difendersi, l’avesse urtato, ma lei si è vendicata, non si è difesa: questo Salvini lo sa bene, ma sa altrettanto bene che il suo pubblico di riferimento non ne è consapevole. Dunque ne approfitta e strumentalizza l’ennesimo fatto di cronaca.

Insomma, la vicenda di Viareggio rivela quasi tutto del popolo che siamo: manovrabile, spaventato, intollerante, identico alla classe politica attualmente al governo. E i nostri politici sanno che guardiamo dove ci dicono di guardare: una donna uccide un uomo, ma la consideriamo comunque una vittima, perché lui avrebbe potuto evitare di farsi ammazzare. È preoccupante che un Paese civile somigli al far west, ancor di più che la politica lo legittimi.

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