Povia si sarebbe dovuto esibire a Nichelino (Torino), ma il sindaco si è opposto e ha annullato il contratto già firmato: i fatti.
La notizia è che Povia si sarebbe dovuto esibire a Nichelino, in provincia di Torino, ma il sindaco Giampiero Tolardo ha deciso di cancellare la sua esibizione, già contrattualizzata, perché l’artista «più volte ha manifestato posizioni no vax, omofobe e contro l’aborto: quanto di più lontano dai valori della democrazia che la nostra comunità incarna».
Leggi anche: Povia: omofobia, sessismo e maschilismo in una sola frase
Ammetto che, d’istinto, appreso il fatto, ho pensato “Ogni tanto una buona notizia”, ma era – evidentemente – un pensiero semplicistico e superficiale, determinato dal fatto che ogni mia idea, in fatto di diritti civili, sia diametralmente opposta a quella di Povia.
Povia, concerto annullato a Nichelino: è giusto?
È giusto, quindi, impedire a un cantante di fare il proprio lavoro per le idee che ha? No. È giusto (ma sarebbe meglio dire “lecito”) non volere che un cantante, per le idee di cui si fa portavoce, non canti nella propria città? Sì. Siccome non mi sentirete mai dire «Hanno ragione entrambi», che sa tanto di «Non sono né di destra né di sinistra» (cosa che Povia si è affrettato a dire), voglio accendere i riflettori su un altro aspetto. Anzi, su altri aspetti.
Il primo: le idee di Povia sono note a tutti, e non da ora. Sin dall’indegna Luca era gay, canzone ambigua, che descrive le relazioni omosessuali come qualcosa di deprecabile, squallido, malato, era chiaro chi fosse Povia e che pensieri proponesse nei suoi brani (e su Facebook). Negli anni, poi, ha espresso pensieri maschilisti, sessisti, antiabortisti. Per non parlare delle sue discutibili posizioni sul Covid. Insomma, tutti sanno chi sia, dunque, perché invitarlo? Perché contrattualizzare la sua presenza e, solo dopo, annullare il contratto?
Secondo aspetto: non capisco perché si faccia tanta fatica a comprendere che, impedendogli di esibirsi, si dà forza alle sue idee e si finisce per renderle attrattive, se non addirittura condivisibili, per chi non ha gli strumenti. Nel momento in cui Povia diventa vittima (di censura, sì, è già stato detto), le sue idee (abominevoli) ottengono riflettori maggiori di quelli che avrebbero se restassero confinate nello spazio dei suoi social (e del suo pubblico). Le sue idee, così, rischiano di arrivare anche a chi solitamente non lo segue, ma è predisposto a pensare che «quelli che si riempiono la bocca con la parola censura sono i primi a censurare» (l’ho letto, purtroppo). L’opinione pubblica è rapidamente influenzabile e impressionabile: se proponi pensieri immediati, slogan facilmente condivisibili (tipo che Povia è una vittima del politicamente corretto, del “pensiero unico”, dell’ideologia woke), la gente abbocca.
Si tratta davvero di censura?
E veniamo alla censura, appunto, termine sempre più abusato: si può parlare realmente di censura quando un cantante non è gradito in una città? A primo istinto mi sono detto di sì. Ma poi ho paragonato la vicenda di Povia a quella di Scurati e, inevitabilmente, ai miei occhi si è ridimensionata: da una parte c’è un cantante sgradito in quanto omofobo, antiabortista, sessista, novax, dall’altra c’è un intellettuale a cui è stato vietato, nella tv di Stato, che quindi appartiene a tutti i cittadini, di parlare di antifascismo (in uno stato antifascista per Costituzione) e della presidente del Consiglio. Ecco, questo confronto riduce il caso di Povia a quello che è: una vicenda mal gestita, che finirà per trasformare il cantante in una vittima di un sistema ipocrita, che denuncia la censura mentre la attua, e il sindaco di Nichelino in un antidemocratico che zittisce chiunque abbia idee diverse dalle sue (come se essere omofobi fosse un’idea e non gretta ignoranza).
Ecco, la questione è tutta qui: alle idee di Povia è stato messo un megafono. Purtroppo.