La vicenda di Giovanna Pedretti mi spinge a una riflessione che va oltre chi punta il dito, di volta in volta contro, un colpevole diverso.
La storia di Giovanna Pedretti, la ristoratrice morta a Lodi, rivela un fatto: ognuno di noi è colpevole. Anzi, rettifico: ognuno di noi è responsabile. Se non della sua morte, perché nel momento in cui scrivo non ne sono ancora state accertate le cause, quantomeno della società in cui viviamo. Una società che ci affrettiamo a dividere in due gruppi, quello dei buoni e dei cattivi, ma che – in verità – è fatta di responsabilità (che ognuno deve imparare a prendersi).
Posto che, ripeto, non sappiamo se Pedretti si sia suicidata e, nel caso in cui l’avesse fatto, quali siano i reali motivi dietro un gesto del genere, questo fatto mi dà l’occasione per parlare di quello che siamo e dello scorporamento preoccupante tra ciò che siamo e ciò che diventiamo sul web.
La (finta?) recensione: Giovanna Pedretti, prima eroina, poi cattiva
Andiamo con ordine: sui social è apparsa una recensione (falsa, a quanto pare) di un cliente che, dopo aver mangiato nel ristorante di Pedretti, si è lamentato per il fatto di essere stato accanto a una coppia gay e a una persona con disabilità. Immediata la risposta della ristoratrice, che – con garbo e decisione – ha detto al suddetto cliente di essere un ospite sgradito nel suo locale, dove ognuno è libero di essere se stesso.
Giovanna Pedretti, così, è diventata un’eroina. I giornali hanno diffuso la notizia senza accertarne la veridicità e il web l’ha accolta con entusiasmo. Perché una non-notizia come questa è arrivata sulle prime pagine di tutti i giornali? Semplice: perché c’è chi abbocca. Perché è una storia di buoni e cattivi, dove la linea di separazione tra gli uni e gli altri è ben marcata. Perché è facile scegliere da che parte stare. Anzi, specifico: perché è già stato stabilito da che parte stare.
Poi, però, è accaduto il fattaccio: si è scoperto che la recensione era (presumibilmente) falsa, quindi Giovanna Pedretti, da che era l’eroina del web, è diventata la cattiva della storia. In altre parole, le stesse persone che l’hanno osannata, il giorno dopo hanno chiesto la sua testa (sebbene la scoperta della finta recensione abbia fatto meno rumore della prima notizia).
La morte di Giovanna Pedretti
Poi, all’improvviso e contro ogni pronostico, la morte di Pedretti. Per suicidio, pare. E lo stesso web che l’ha glorificata, poi insultata, oggi – anziché prendersi le proprie responsabilità – ha scelto un nuovo nemico: il giornalismo italiano, brutto e cattivo, che dà le notizie senza verificarle. È sbagliato, certamente, anzi, è inqualificabile dare notizie senza sapere se siano vere: ma certo giornalismo, e qui sta il vero problema, dà al consumatore ciò che il consumatore vuole. Ciò che il consumatore può apprezzare, condividere, far diventare virale. Certo giornalismo non cerca, ricerca, illumina, allarga, cambia la prospettiva del lettore, ma la asseconda. Ed ecco che, in questo modo, una non notizia diventa una notizia.
Ma non solo: la gente ha trovato un altro nemico, ovvero Lorenzo Biagiarelli, il primo a essersi occupato del caso di Pedretti, indagando sulla finta recensione. Così, la situazione si è ribaltata un’altra volta: la colpa della morte della ristoratrice, ammesso e non concesso che si sia suicidata e che l’abbia fatto per gli eventi degli ultimi giorni, è di chi porta alla luce la verità. Non di chi ha bisogno di una non-notizia da condividere sui social, non di chi la diffonde senza verificarne la veridicità, non di chi, oggi, senza sapere le cause della sua morte, ha stabilito che si sia suicidata per «essere stata messa alla gogna dal web» (?), ma di Lorenzo Biagiarelli.
Vi renderete conto da voi di quanto tutto questo sia grave. Distopico. È arrivato il momento, e probabilmente è già tardi, di prenderci le nostre responsabilità, partendo da una verità ovvia: noi e i nostri profili social siamo la stessa cosa. Noi siamo quello che pubblichiamo, condividiamo, critichiamo. Bisogna ripartire da qui per evitare che una storia come quella di Giovanna Pedretti si ripeta un’altra volta. Perché, per quanto sia fastidioso sentirselo dire, è anche responsabilità nostra.