Al Sanremo, ogni anno, cambiano i cantanti, i conduttori, i direttori artistici, tranne una cosa: l'idea che la donna sia un accessorio.
Il Festival di Sanremo è giunto alla settantaquattresima edizione e le donne che “conducono” (si fa per dire) al fianco del presentatore continuano a essere un accessorio, un soprammobile, animali da circo ammaestrati e innocui.
Sono messe lì per decorare la scena, per riempire tutto lo spazio che c’è intorno a lui, l’uomo, appunto, che sta al centro e comanda, perché ha un ruolo di responsabilità. L’uomo parla, la donna parla quando le è consentito. L’uomo conduce, la donna interviene quando è previsto. L’uomo guida, la donna gli sta di fianco, lo accompagna, lo asseconda.
A scanso di equivoci e prima che qualcuno storca il naso dicendo che ormai si parla sempre e solo di maschilismo, vi voglio tranquillizzare: nessuno pensa che Amadeus sia uno sporco maschilista, figlio di un sistema patriarcale di cui è, inevitabilmente, responsabile. Penso, più semplicemente, che a essere maschilista sia – come sempre – la cultura che sta alla base di certi comportamenti, ed è lì che bisogna intervenire. Come sempre, il problema non è il singolo, ma un sistema vecchio, superato, del tutto arbitrario che stabilisce che la donna, anche in tv, non possa avere ruoli centrali, decisionali, di responsabilità (tranne in rari casi).
Dunque, il problema non è Amadeus, ma la cultura che c’è a monte, una cultura che permette, giustifica e non si indigna per una donna bella (guai se così non fosse) e muta. E nel tempo le cose sono persino peggiorate: oggi, alle donne viene addirittura consentito di parlare. Sì, attraverso un monologo recitato all’una di notte, con cui giustificano la propria presenza sul palcoscenico. Perché l’uomo c’è in quanto uomo, non deve spiegare la propria presenza, la donna c’è in quanto portavoce di qualcosa, propone un tema, che poi è il motivo per cui si trova su quel palco.
Sanremo e le donne: la storia di una kermesse maschilista
Ma andiamo con ordine. Che ci sia un problema culturale, lo dimostra il fatto che Sanremo, giunto all’edizione numero settantaquattro, abbia avuto solo quattro conduttrici donne: Loretta Goggi nel 1986, Raffaella Carrà nel 2001, Simona Ventura nel 2004 e Antonella Clerici nel 2010. Ma, udite udite, ad oggi nessuna donna è mai stata direttrice artistica del Festival.
Questi dati bastano a dimostrare che un problema – di fatto – ci sia. Ma veniamo al presente: Amadeus, in cinque edizioni di Sanremo, ha avuto ventisei partner con sé sul palco, ma soltanto quattro conduttrici di professione (Antonella Clerici, Barbara Palombelli, Diletta Leotta e Lorella Cuccarini), poi attrici alle prime armi, sportive, influencer, cantanti, direttrici d’orchestra, comiche. E comunque ognuna di loro è stata confinata in tarda serata (o, per meglio dire, a notte fonda) a recitare un monologo sui temi più disparati: c’è chi ha parlato di bellezza che capita, chi di femminismo, chi ancora di maternità e chi di imprenditoria digitale.
Insomma, di donne ce ne sono state tante, ma tutte hanno dovuto dimostrare di saper parlare e, soprattutto, di avere qualcosa da dire. Perché il problema è sempre lo stesso: Amadeus è un uomo che ha paura di essere messo all’ombra da una donna, perciò sceglie co-conduttrici che non conducono, ma occupano lo spazio da lui stabilito.
Questa storia dell’uomo potente che sta al centro e della valletta semi muta, senza alcun potere decisionale, che riempie lo spazio circostante è vetusta, brutta, superata e anche parecchio patetica. È chiaro che, se scegli di avere al tuo fianco una conduttrice, il palco lo devi dividere. Se, invece, ti circondi di cantanti, sportive o attrici emergenti, il palco è solo e soltanto tuo.
La conclusione è sempre la stessa: c’è un’intera società da rieducare. Quanto tempo ancora passerà prima che avvenga?