Giulia Cecchettin, la sua morte è colpa di tutti noi uomini: ecco perché non ha alcun senso dire "Not all men".
Dopo l’uccisione di Giulia Cecchettin da parte del fidanzato, mi hanno colpito due tipi di reazioni: quella degli gli uomini che si sono affrettati a sottolineare che «non bisogna fare di tutta l’erba un fascio, non siamo tutti uguali» e quella di chi ha puntato il dito contro le donne.
Andiamo con ordine. Nella giornata di ieri, ospite di Domenica In, Simonetta Matone, deputata della Lega, ha accusato le madri «disturbate» di essere la causa del comportamento violento dei figli: ha detto, infatti, che i maschi crescono in un certo modo a causa delle mamme che subiscono (e non dei mariti che le picchiano). Oggi, la ministra della Famiglia e delle Pari opportunità del governo Meloni, Eugenia Roccella, ha affermato che «è fondamentale che le madri educhino i figli maschi ad avere rispetto delle donne e della loro libertà» (nessun accenno ai padri e al loro ruolo nell’educazione dei figli).
Ma non è finita qui: da giorni, sui social, si fa strada la retorica del «Se ti ama, non ti uccide», che è infondata, superficiale e pericolosa. Innanzitutto, perché non è affatto vero, dal momento in cui anche chi compie un femminicidio ama. È un amore che si rifà a una cultura di prevaricazione, dominazione, subordinazione, controllo, in cui l’uomo esercita un potere sulla donna, su ogni aspetto della sua vita: possiamo definirlo tossico, malato, disfunzionale, ma è pur sempre amore.
Inoltre, dire «Se ti ama, non ti uccide», rivolgendosi alla donna, sottintende che sia lei a dover capire se lui la ami o no, quindi se lui sia un potenziale assassino oppure no. In altre parole, una frase del genere dà alla vittima una responsabilità che non ha.
Yes, all men: siamo tutti colpevoli della morte di Giulia Cecchettin
Siamo alle solite, non ce la facciamo proprio a rivolgerci ai maschi, a puntare il dito contro una cultura maschilista e misogina, a dire che la colpa è sempre e solo degli uomini. Di quelli che uccidono e di quelli che si affrettano a dire che «non siamo tutti uguali». Se da un lato c’è chi è parte attiva di questa cultura, perché abusa, uccide, stupra, molesta o compie una qualsiasi altra forma di controllo e prevaricazione sulla donna, dall’altro c’è chi ne approfitta passivamente.
Noi uomini abbiamo sempre usufruito del privilegio di essere uomini e, consapevolmente o inconsapevolmente, abbiamo sempre sfruttato una cultura che ha messo le donne ai margini della società.
Siamo stati, siamo e resteremo parte del problema finché non lavoreremo per una equità totale. Finché non saremo alleati delle donne, senza se e senza ma, senza «ma io non ho fatto niente», senza «non tutti gli uomini sono uguali», senza «adesso non esageriamo». Senza andare a pescare nel mare di privilegi che abbiamo sempre avuto per trovare una scusa, un pretesto, un modo per dire che «io sono diverso».
In questa storia, che è la storia del mondo, se non sei la soluzione, sei inevitabilmente parte del problema. Sei il problema.
Ps. Yes, all men. Anche io.