Caro generale Vannacci, l’ignoranza non è mai un’opinione

Alcune considerazioni sul generale Vannacci e sul libro "Il mondo al contrario", che tanto sta facendo discutere.

In tutta onestà, non pensavo che fosse necessario parlare dei deliri del generale Vannacci. Perché sono, appunto, deliri. Uno che dice «Cari omosessuali, normali non lo siete, fatevene una ragione» andrebbe semplicemente arginato, emarginato. Il mio primo istinto, quindi, è stato quello di soprassedere, in attesa che – semplicemente – si smettesse di parlare di un libro (peraltro autopubblicato) che, senza l’enorme esposizione che ha avuto, avrebbe venduto forse una manciata di copie. Talmente poche da non rientrare nemmeno nei costi dell’autopubblicazione.

Ma non avevo fatto i conti con una cosa: l’ignoranza è un cancro che si espande, raramente va in remissione da solo, fa le metastasi. E, infatti, i deliri (che non chiamerò più provocatoriamente così, perché il delirio è un disturbo della funzione mentale, mentre qui siamo di fronte a una profonda ignoranza e alle sue conseguenze) di Vannacci hanno trovato terreno fertile in molta gente. Gente che si sente minacciata nella propria libertà d’espressione. A tal proposito, i più hanno detto: «Non c’è più libertà di parola, ognuno è libero di dire ciò che pensa, basta con il politicamente corretto».

Sacrosanto, guai se non fosse così. Ognuno ha il diritto di dire ciò che pensa, di esprimere le proprie idee e soprattutto di difenderle. Tuttavia, ed è questo il punto, l’ignoranza, che è la radice dell’omofobia, del razzismo, del sessismo, non è un’opinione. Il cosiddetto politicamente corretto, la presunta dittatura LGBT o la libertà d’espressione sono solo mezzi attraverso cui molti giustificano xenofobia, omofobia, maschilismo. Ha fatto bene Vannacci a intitolare il suo libro Il mondo al contrario, perché è proprio così: sembra che calpestare la dignità delle minoranze sia un diritto e che difenderla sia un torto.

La libertà di insultare non è un diritto

Ma la cosa più pericolosa è un’altra: questa è la narrazione (tossica) che fa la destra che ci governa, che in questo modo legittima, incoraggia, difende la violenza (verbale e fisica) verso ogni minoranza, verso chiunque sia diverso dall’uomo italiano, bianco, etero e cristiano. Ma affermare che qualcuno sia anormale solo perché non somiglia ai più non è un’opinione, è un insulto.

La difesa della libertà d’espressione, dietro cui si nasconde – lo ripeto – solo la volontà di offendere, sminuire, denigrare, è la giustificazione vigliacca che utilizzano, oggi, persino i politici. Basti pensare a Salvini, che ha difeso il diritto, così l’ha chiamato, di Vannacci di scrivere quello che gli pare. Perché, sia chiaro, Salvini, come la maggior parte degli altri esponenti della destra italiana, si guarda bene dal dire di essere omofobo. Tuttavia, non fa nulla per prendere le distanze da chi lo è e lo ammette, mettendolo addirittura nero su bianco in un libro.

Ecco, questo è quanto: il problema non è il libro di Vannacci, che – ripeto – è destinato a essere dimenticato tra poche settimane, ma il terreno fertile che ha trovato nel nostro Paese. Un terreno fatto di omofobia, razzismo, patriarcato. Un terreno difeso strenuamente da chi ci governa. Perché in Italia, nel 2023, per non essere considerato diverso, quindi una minaccia, devi essere come Vannacci: bianco, etero, cristiano e omofobo.

«Oggi non si può dire più niente» e altre menzogne

Negli ultimi tempi, si sente sempre più spesso la frase «Oggi non si può dire più niente», ma io credo che sia vero l’esatto opposto. Mi spiego meglio: oggi più che mai, chiunque ha la possibilità di esprimere un parere, manifestare un punto di vista e, purtroppo, anche offendere. Perché chiunque possiede uno spazio social e può dire ciò che vuole, prendendosi – a volte – anche lo spazio degli altri. Una volta, questa opportunità non c’era.

Il punto è che oggi, nel momento in cui la propria opinione viene espressa davanti a un vasto numero di persone (sui social, appunto) e non tra le quattro mura di casa, si rischia di diventare – a propria volta – bersaglio di qualcun altro.

Ma è vero che oggi non si può dire più nulla? Spoiler: no.

Facciamo un esempio: un tempo, se dicevi «I froc* mi fanno schifo», al massimo a saperlo era l’amico del bar, tua moglie, i tuoi figli, qualche parente. Oggi, un’opinione espressa sui social è alla mercé di tutti, quindi – di fronte all’espressione «I froc* mi fanno schifo», ci sarà qualcuno – per fortuna – che ti dirà che sei omofobo.

Non è vero che non si può più dire niente, si è semplicemente più esposti e l’esposizione porta al rischio di doversi confrontare con la propria ignoranza. Ovviamente, è più comodo e confortevole ripetere «Oggi non si può dire più niente» perché si sposta vigliaccamente la colpa sull’altro, sulla vittima, e si cerca goffamente di sfuggire ai propri limiti. Ma i limiti restano. E si pagano.

In generale, chi è abituato a rispettare tutti, indistintamente, non si lamenta del fatto che non si possa dire più niente, semplicemente perché non sente l’urgenza di offenderedenigraresminuire gli altri. E, soprattutto, ha voglia di emanciparsi dai propri limiti. Perché, sì, di limiti ne abbiamo tutti e ciò che ci qualifica non è il fatto di non averne, ma la volontà, il coraggio, l’impegno nel volerli superare.

Pensateci quando dite «Oggi non si può dire più niente», perché quasi sempre avete torto.

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