La legge 194 sull’aborto ha 45 anni e se li porta malissimo, cosa prevede e cosa non va

La legge 194 sull'aborto va cambiata o sostituita? Gli articoli spiegati e i limiti interni: obiezione di coscienza, accessibilità e non solo

La legge 194, che consente in Italia di interrompere una gravidanza, compie 45 anni: fu il risultato di un compromesso e doveva essere solo il primo passo verso il vero diritto all’aborto. Ma spoiler: non lo è stato, non come poteva e doveva essere. I limiti di questa legge appaiono chiari dal principio e dal fatto che non sempre venga applicata, ma fanno riferimento anche alla legge stessa, per come è stata pensata e proposta.

Leggi anche: Nicola Lagioia e l’attacco di Augusta Montaruli, cosa è successo? Il bue che dice cornuto all’asino (VIDEO)

Il 22 maggio del 1978, sulla Gazzetta ufficiale, viene pubblicata la legge 194, che depenalizza e disciplina l’aborto in Italia. Oggi continuiamo a trovarci di fronte a una legge che non è stata mai modificata, aggiornata e che, ieri come oggi, continua ad essere svuotata dall’interno e dalla sua stessa forma. Capiamo insieme tutti i passaggi, cosa prevede e cosa non va.

Legge 194 aborto: come è nata? Le femministe sapevano già che qualcosa non andava

La legge 194 sull’aborto venne approvata il 22 maggio 1978 grazie alle lotte dei movimenti femministi. Dopo un passaggio parlamentare durato circa due anni e dopo non poche opposizioni, la legge passò. Seppur agghindata da una serie di compromessi che a distanza di 45 anni continuiamo a patire.

Già all’epoca, i movimenti femministi ribadirono che nel testo della legge erano presenti gli strumenti che avrebbero potuto svuotarla e farne perdere forza. Dall’’Unione delle Donne Italiane, associazione che si mobilitò moltissimo in quegli anni, infatti, si precisava che sarebbe stata solo «un primo strumento». Ma è rimasto l’unico ed è addirittura messo in discussione.

I limiti della legge sull’aborto: cosa prevede e cosa non va

Ma cosa prevede e cosa non va nella legge 194 sull’aborto? Partiamo dalla base: la legge 194 NON stabilisce che l’aborto è un diritto. Le parole scelte per descriverla lo dimostrano chiaramente, si parla infatti di ‘‘Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”.

Voi direte: e cosa cambia? Cambia perché la legge non si basa sul diritto di abortire ma sulla regolamentazione dei casi in cui l’aborto non è reato. Come spiega egregiamente Chiara Lalli, docente di Storia della Medicina: «La 194 non stabilisce un diritto in senso forte alla scelta e all’autodeterminazione delle donne: stabilisce quando è permesso e concesso accedervi».

Bisogna tenere a mente che parliamo pur sempre di una legge che assume, come fondamento, “il valore sociale della maternità”. Ecco, per l’appunto, cosa ribadisce l’articolo 1: «Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio».

Il focus, dunque, non è esattamente il diritto della donna di far del suo corpo liberamente quello che vuole. Nella 194, infatti, non si parla mai di IGV rispetto alla libera scelta della persona.

Le ”circostanze”

L’articolo 2 della 194 si occupa dell’attività dei consultori e ribadisce che una delle loro funzioni fondamentali è quella di contribuire «a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza». Le circostanze per cui si ”pecca” di aborto fanno da materia prima dell’intera legge.

Si aggiunge poi che i consultori «sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi (…) della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita».

Lecito, direte. Anzi, necessario. Ma il punto qua non sta tanto nell’aiuto a chi è costretta ad abortire per ragioni economiche, quanto nel fatto che vengano valutate esclusivamente quelle come motivazioni possibili. Oltre a quelle ”fisiche” o ”psichiche”. In nessuna parte del testo si fa riferimento ad una donna cosciente, in piena salute fisica e mentale, con nessun problema sociale alle spalle che decide liberamente di interrompere una gravidanza.

L’obiezione di coscienza

Ma passiamo alla parte più limitante della 194: l’obiezione di coscienza. Si tratta di uno dei principali ostacoli al diritto a un aborto accessibile e assicurato. Anche se, all’interno della legge, i vari punti – se applicati alla lettera – renderebbero comunque la situazione meno complicata di quella che oggi si presenta ad ogni donna.

L’articolo che si occupa in modo specifico dell’obiezione di coscienza è il numero 9: «L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza».

Ma attenzione: non esonera il medico obiettore di coscienza dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento. Il medico può esclusivamente non procedere con la pratica, ma resta obbligato alla consegna del documento che attesti lo stato di gravidanza e la volontà della donna a interromperlo.

La sentenza del 2016 del Tar del Lazio precisa che il medico non può astenersi dalla visita della donna per accertarne lo stato di gravidanza, raccoglierne la volontà e rilasciare relativo documento. Un medico obiettore non solo, quindi, potrebbe fare l’attestato per l’IVG, ma DOVREBBE FARLO.

Quali medici possono rilasciare il certificato di aborto?

L’articolo 5 della 194 stabilisce tra l’altro che l’attestazione necessaria per accedere all’IVG possa essere rilasciata da un «medico del consultorio, della struttura socio-sanitaria» o da un «medico di fiducia».

La legge, dunque, non dice che il certificato deve essere necessariamente rilasciato da un ginecologo. Potrebbe, dunque, essere compilato anche da un qualsiasi altro medico specialista o da un medico di famiglia.

E invece, non solo sono pochi i medici di famiglia che sono disposti a fare il certificato per l’IVG, sono anche pochi quelli che sanno di poterlo fare. E questo avviene a causa di una falla nel sistema di formazione dei medici, non informati o aggiornati sull’argomento.

Come sapere se un medico è obiettore di coscienza? La mancanza di un albo

L’altro grande problema in cui ogni donna incappa, se interessata a interrompere una gravidanza, riguarda  il problema della mancanza di un albo apposito dei medici obiettori. Un albo permetterebbe alle persone di essere correttamente e preventivamente informate sulla scelta del professionista a cui rivolgersi. E decidere, dunque, anche di non proporsi a quel medico per sentirsi rifiutate o peggio invitate a cambiare idea.

RU486: la questione sulla pillola abortiva

Bisogna poi ricordare che l’aborto può essere praticato per via chirurgica ma anche per via farmacologica attraverso l’assunzione della cosiddetta pillola abortiva, la RU486 (che per l’OMS rientra nella lista dei medicinali essenziali). I vantaggi della seconda opzione sono diversi:

  • È una pratica sicura – come dimostra la più autorevole letteratura scientifica internazionale e come afferma l’OMS
  • Evita l’intervento chirurgico, l’anestesia e l’ospedalizzazione

La riflessione dei 7 giorni: una settimana di tempo per pentirsi

L’articolo 5 della 194, inoltre, prevede il cosiddetto “periodo di riflessione” o sarebbe meglio dire “il periodo in cui ci potrebbe pentire della scelta presa”. «Quando il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, riscontra l’esistenza di condizioni tali da rendere urgente l’intervento, rilascia immediatamente alla donna un certificato attestante l’urgenza», con il quale la donna può presentarsi e praticare l’interruzione della gravidanza.

MA se non viene riscontrata l’urgenza (chi oltre la donna dovrebbe stabilirne l’urgenza, mi chiedo), alla persona che vuole abortire viene rilasciato un documento che attesta lo stato di gravidanza e l’avvenuta richiesta. E la si invita «a soprassedere per sette giorni».

Scaduti i sette giorni il documento costituisce «titolo» per ottenere in via d’urgenza l’intervento.

Sempre Marina Toschi, a tale riguardo precisa in maniera esemplare: «L’aborto è una prestazione medico-sanitaria che deve essere fornita nel migliore modo possibile in base a criteri scientifici. Come quelli che elabora e propone l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)». E in Italia siamo ben lontani da questa realtà.

I problemi di accesso all’aborto

A più di quarant’anni dall’approvazione della 194, questa legge ha mostrato non solo i moltissimi problemi legati al suo contenuto, ma soprattutto i limiti legati alla sua mancata applicazione e per cui l’Italia è stata più volte richiamata dalle istituzioni europee.

Ce lo confermano i problemi di accesso che migliaia di donne continuano a raccontare ogni giorno, che le portano a spostarsi di regione in regione e in liste di attesa infinite a causa dell’elevatissimo numero di medici obiettori di coscienza.

La legge 194 sull’aborto va modificata o cambiata?

Una volta a conoscenza dei limiti della 194, viene da chiedersi se andrebbe auspicata una piena applicazione delle norme che già abbiamo o se sia arrivato il momento di avere una nuova legge.

Per Chiara Lalli, se la legge fosse realmente applicata «lo scenario sarebbe migliore», nonostante si tratti di un testo «mediocre con un’impostazione paternalistica, che non parte dalla premessa della libera scelta delle donne e che non mette al centro la loro la libertà».

Quel che possiamo far oggi è informarci e far valere i nostri diritti (seppur pochi e mal espressi). Sapere cosa potere e non potere richiedere e pretendere quello che manca. La strada è lunga, ma la lotta non si arresta.

(Clicca su una delle 2 foto)
Seguici su Instagram