INTERVISTE POP: Ilaria Di Roberto, quando il web diventa una trappola

Quella che vi proponiamo oggi è un'intervista diversa dal solito: a parlare è Ilaria Di Roberto, protagonista di una storia drammatica.

Quella che vi proponiamo oggi è un’intervista diversa da quelle a cui vi abbiamo abituato. La protagonista di questa chiacchierata non è un volto noto del mondo dello spettacolo o del web, ma una vittima di quest’ultimo. L’idea di questa intervista è nata da un nostro articolo a proposito della violenza verbale subita da Alessia Marcuzzi nei giorni scorsi (clicca qui per leggerlo). Quella che vi raccontiamo oggi è la vicenda di Ilaria Di Roberto.

Le parole di Ilaria Di Roberto

Ilaria, la tua storia si discosta da quelle che siamo soliti raccontare. Con te non parleremo di spettacolo, televisione o musica, ma di donne. Anzi, di quanto possa rivelarsi faticoso essere donna in una società come la nostra, ancora tristemente radicata a pensieri maschilisti e sessisti. Andiamo con ordine, raccontami quello che ti è successo.

La mia vita è ruotata quasi sempre intorno al bullismo, alle violenze e agli abusi: dalle scuole elementari, nel contesto del quale sono stata addirittura picchiata dai miei compagni di classe a causa del mio aspetto fisico (ero piuttosto obesa) fino a dopo il liceo. A seguito di ciò, ho sofferto anche di anoressia e, a 17 anni, sono stata quasi violentata dall’uomo che si era finto mio “datore di lavoro”. Era il mio primo giorno di prova in un ristorante locale: il direttore era fuori da qualche settimana ed uno dei dipendenti si era spacciato per il capo, approfittando della sua assenza per propormi di lavorare come cameriera e in un secondo tempo, molestarmi. Ringraziando il cielo, riuscì a divincolarmi e a scappare via. Ah, per chi volesse saperlo, erano le 17.00 di pomeriggio e indossavo un pullover.

Ma il peggio è avvenuto dopo.

Sì, mio padre decise di abbandonare il tetto coniugale per inseguire il suo sogno musicale. Ci lasciò in uno stato pietoso, piene di debiti e nella più totale indigenza. Ed è qui che iniziarono i problemi. Nel 2016 conosco un ragazzo su Facebook: lui era di Taranto, quindi all’inizio non considerai minimamente l’idea di protrarre il nostro rapporto oltre una semplice amicizia. Ma come si dice? Al cuor non si comanda. Parlando, iniziai a maturare nei suoi confronti un sentimento non del tutto indifferente, così decidemmo di instaurare un rapporto più intimo. Fu proprio allora che cominciò il mio calvario. Il ragazzo mi faceva pesare continuamente il fatto che fossimo molto distanti e che questo avrebbe potuto incidere negativamente sulla nostra “relazione”, che fino a quel momento non era altro che una semplice “storiella virtuale”. Ci eravamo promessi di incontrarci, anche se certi che le circostanze e i problemi economici avrebbero di gran lunga posticipato quel momento.

E poi cos’è successo?

Ero molto presa da lui, mi faceva stare bene e per nessuna ragione avrei desiderato perderlo. Purtroppo il ragazzo, resosi conto dei miei sentimenti, prese la palla al balzo per chiedermi qualcosa che non avevo mai fatto prima di quel momento: mi chiese di mandargli delle foto, inizialmente in biancheria intima e in un secondo momento nuda. Non cedetti subito, anzi, all’inizio mi opposi severamente, anche perché consideravo il sexting una sorta di tabù, condannandolo a priori, prima ancora di praticarlo. Provengo da un’educazione abbastanza rigida, credo fortemente nei valori e nell’importanza del matrimonio e questo mi ha reso nel corso degli anni non proprio emancipata da un punto di vista sessuale: senza mezzi termini, nella mia mente era stata veicolata l’idea che il sesso potesse essere legittimo solo in funzione del matrimonio, quindi inizialmente fui abbastanza restia di fronte alla sua proposta. Purtroppo, il ragazzo mi mise spalle al muro: «Che senso ha questo rapporto se oltre a non vederci dal vivo, non possiamo neanche scopare?», «Io non riesco a portare avanti una relazione, se non ho un appagamento dal punto di vista sessuale». Ero terrorizzata all’idea che mi mollasse, così decisi di accogliere, seppur non a braccia aperte, le sue richieste, iniziando ad inviargli foto e sottostando al suo “indottrinamento sessuale”.

Ma non si è accontentato delle foto.

Dopo le foto iniziò, a chiedermi video di tutta specie, all’interno dei quali, sempre sotto sua richiesta, avrei dovuto stimolare le mie parti intime con le dita. Queste operazioni avvenivano anche in videochiamata, a volte mi chiedeva di mostrargli il seno anche quando ero fuori da casa come prova e pegno del mio amore. Non riuscivo a trovare la forza di negarmi, nonostante questo mi destasse un dolore non indifferente. Mi sentivo sporca. Di punto in bianco e col trascorrere dei giorni, nulla di ciò che facessi sembrava più renderlo felice, così, dal nulla decise di mollarmi. Entrai in uno stato di depressione senza precedenti: oltre ad essere stata privata della mia dignità e andata contro quelli che erano i miei principi, mi ero ritrovata abbandonata per la seconda volta, come fossi uno straccio usato. Mi sentivo in colpa nei confronti di me stessa.

E qui entrano in scena i suoi amici.

A distanza di qualche tempo, inaspettatamente, alcuni di loro iniziarono a contattarmi, chiedendomi foto hot e avanzando apprezzamenti non proprio lusinghieri. Di lì a poco compresi che il materiale inviato al mio ex era stato diffuso al livello virale. Nei giorni a seguire, infatti, venni a conoscenza di un fatto che mi sconvolse: le ex fidanzate del ragazzo mi contattarono, dicendomi che lo stesso non solo aveva diffuso le mie foto, ma che nei loro periodi di pausa era solito adescare ragazze in rete per chieder loro materiale pornografico ed in un secondo momento mostrarlo in giro. Tra queste vi era anche una ragazza minorenne, con la quale mi misi in contatto subito dopo e trovai un’ulteriore conferma di ciò. Ero distrutta, ma decisi comunque di farmi forza e denunciare. Nell’anno seguente conobbi un altro ragazzo su Facebook, con il quale entrai subito in sintonia: stavolta si trattava di un ragazzo del posto che ebbi modo di incontrare personalmente, qualche mese dopo la nostra prima chiacchierata. Parlavamo giorno e notte, 24 ore su 24, senza un attimo di pausa. Tra noi due si instaurò subito un bel legame. Mi faceva sentire viva, di nuovo in pace con me stessa. Gli confidai ciò che mi era capitato e lui sembrò mostrare tenerezza e devozione nei miei confronti. Diceva di essersi affezionato, che gli sembrava di conoscermi da sempre e che per nulla al mondo avrebbe mai voluto perdere una persona tanto speciale. Fu così che mi innamorai follemente di lui.

Ed è ricominciato l’incubo.

A distanza di qualche giorno dal nostro primo incontro, mi disse di non voler più andare oltre quella che era una semplice amicizia: così iniziò a frequentarsi con altre ragazze, continuando comunque a sentirsi con me ogni giorno e a condividere, qualora ci incontrassimo, dei momenti abbastanza intimi, a cui non seppi dire di no. Tra queste vi era una ragazza in particolare che iniziò a manifestare una sorta di ossessione per lui ed una gelosia a dir poco smisurata nei miei riguardi. Non sopportava che gli lasciassi like alle foto o che addirittura tra di noi vi fosse un rapporto di amicizia. Sta di fatto che questo ragazzo si frequentò per qualche tempo con la tipa in questione e dopo aver avuto rapporti sessuali con lei, decise di mollarla e interrompere i contatti. A distanza di qualche giorno, la sottoscritta finisce su un sito porno, più precisamente su porn.com. Qualcuno aveva estratto buona parte delle mie foto presenti su Facebook, associandole ad altre foto di ragazze nude ritratte dal collo in giù. Se potessi descrivere con una sola parola la mia reazione di fronte a ciò, quella è senz’altro congelamento.

Dev’essere stato un trauma per te. 

Ero allibita, frastornata, congelata al punto da non sentirmi più il sangue scorrere nelle vene. Temevo che tra quelle foto ve ne fosse qualcuna di quelle che avevo inviato tempo prima al mio ex, ma nonostante realizzai che non fosse così, era comunque brutto vedersi messa alla berlina su un sito porno sotto lo pseudonimo “Ilaria Di Roberto vogliosa di cazzo”. Impaurita e in balia della vergogna, raccontai dell’episodio al ragazzo che amavo, che rimase a sua volta molto provato. A distanza di pochi giorni, anche lui iniziò ad essere vittima di vessazioni: iniziarono a creare profili Facebook a nostro nome di carattere diffamatorio, a lui viene hackerato Instagram e, inoltre, vennero fatti ordini a nostro nome sui siti di vendita più disparati. Ed è in quel momento che iniziammo ad avere i primi sospetti sulla ragazza. Ci siamo ritrovati a vivere insieme una situazione terribile, che purtroppo non abbiamo denunciato subito: eravamo piuttosto provati e, inoltre, conoscendo a grandi linee la cattiva nomina della tipa in questione, temevamo dei riscontri negativi. Inoltre eravamo convinti che la faccenda non si sarebbe protratta oltre un certo lasso di tempo. Invece, la storia si prolungò per più di un anno, così decidemmo di denunciare. A fronte dei ripetuti attacchi, che non solo vedevano protagonisti noi, ma anche le nostre famiglie, lui decide di togliersi dai social, affidando a me il compito di segnalare i vari profili che creavano contro di lui o di disdire gli ordini che venissero fatti a suo nome. Sta di fatto che per più di un anno, mi sono dedicata incondizionatamente a lui e al dramma che stavamo vivendo: ho messo da parte gli amici, il lavoro, il romanzo a cui stavo lavorando per trascorrere giornate intere davanti al telefono a fare segnalazioni sia per i miei che per i profili creati a suo nome. Un bel giorno ricevetti un messaggio in cui mi veniva detto che a breve sarebbe entrata una terza persona nella vita del ragazzo e che questa avrebbe distrutto il nostro rapporto, allontanandoci per sempre. Confidai al ragazzo il mio scontento e la mia paura di perderlo, ma lui cercò di tenermi tranquilla, assicurandomi che niente al mondo ci avrebbe mai divisi, che il suo bene era più forte di tutto e che dopo tutto quello che avevo fatto per lui non avrebbe mai pensato di abbandonarmi.

Ma non è andata così.

Un giorno io e mia sorella decidiamo ad un corso di ballo e in questo frangente noto che tra il gruppo c’era una ragazza che mi guardava insistentemente. Realizzai poco dopo che si trattasse di una delle ex del ragazzo in questione, con la quale era stato insieme cinque anni. Noto che a fine lezione la ragazza mi pesta un piede in maniera del tutto volontaria, sguainando un sorriso maligno poco dopo, e ciò mi lasciò abbastanza basita. Era come se già mi conoscesse, o comunque che fosse a conoscenza del rapporto che vi era tra me e il suo ex. Ad ogni modo, a pochi giorni di distanza da quell’episodio, la ragazza in questione ricontatta il mio amico e dopo avergli fatto qualche avances, a cui lui in un primo momento si mostra restio, decide di rifrequentarlo e tornano insieme. Da quel momento, il ragazzo inizia a trovare pace: magicamente le vessazioni smettono, mentre a me le derisioni online si amplificano oltre i limiti del sopportabile. Fu allora che lo stesso ragazzo con il quale avevo condiviso quei drammatici momenti e che mi aveva promesso di restarmi accanto per sempre, decide di interrompere il nostro rapporto senza una motivazione. Disperata, cercai in tutti i modi di trattenerlo, facendogli notare che fosse abbastanza inconsueto il fatto che le derisioni online fossero terminate dal ritorno della sua ex, ma fu inutile: il ragazzo, che già da diversi giorni aveva iniziato a mostrarsi prevenuto nei miei confronti, si accanì selvaggiamente contro di me, accusandomi di essere una visionaria, che la mia fosse solo gelosia e che in realtà invidiavo a morte la sua ex solo per il fatto che era riuscita a far breccia nel suo cuore.

E poi è avvenuto un fatto che ha dell’assurdo. Me lo racconti?

Quando andammo a denunciare, l’ispettore della polizia postale mi disse che qualcuno dei profili creati contro il mio amico era collegato ad un numero intestato a me, ma che ad ogni modo io non ho avevo mai posseduto. Rimasi scioccata a fronte di quell’assurda scoperta, a dispetto di ciò la famiglia del mio amico iniziò a colpevolizzarmi, attribuendo a me la causa di tutto quello sfacelo. Sta di fatto che il 7 maggio scorso, il mio amico decise di chiudere con me ed io entrai in depressione. Ero rimasta sola, senza amici, i quali ormai mi avevano abbandonata a causa del revenge porn e completamente emarginata e denigrata dal mio paese. Alcuni dei miei conoscenti, forse per vergogna o semplicemente per pura ignoranza, sono arrivati a togliermi il saluto, mentre altri hanno iniziato a molestarmi. Ero completamente isolata dal mondo, abbandonata a me stessa in un vortice di buio fatto di lacrime e dolore interiore. Non mangiavo più, a stento riuscivo a tenermi in piedi per la mancanza di forza. Ad un certo punto decisi di riprendere in mano le redini della mia vita, se non altro, almeno di provarci. Così mi misi alla ricerca di un lavoro. In quel contesto, un giorno navigando su Facebook, apparve tra le pagine sponsorizzate la pubblicità inerente ad uno studio esoterico. Premetto che ho avuto da sempre una certa propensione per il mondo dell’astrologia e dei tarocchi, oltre ad esser stata sin da giovanissima una persona abbastanza scaramantica. Avevo un mazzo di tarocchi a casa che a volte, così per gioco, mi dilettavo a leggere alle mie amiche, mai a scopo di lucro. Così, mossa dalla disperazione e, devo riconoscerlo, anche dalla mancanza di lucidità, decido di contattare questo studio esoterico per avere un parere in merito a ciò che mi stesse capitando in quel momento. Molti in un periodo di crisi scelgono di rivolgersi ad uno psicoterapeuta, ma io no, scelsi una via alternativa: l’esoterismo.

Così ti sei messa in contatto con il dirigente dello studio, il cosiddetto “vicario”. 

Telefonicamente mi raccontò di essere uno psicologo di rinomata fama, iniziando a tessersi le lodi. Mi disse di possedere questo centro da cinque anni e che si occupasse non a caso di tarocchi, riti magici e filtri d’amore. Disse inoltre di avere molte conoscenze nell’ambito dell’editoria e della musica, oltre ad una serie di agenzie investigative in tutta Italia. Allo stesso modo, io gli confidai qualcosa in merito alla mia situazione, che fossi una scrittrice, ma che purtroppo le vendite del mio primo libro non erano andate come desiderassi. A quel punto il vicario mi disse: «Credo di conoscerti, sai?». Pensai alludesse al mio libro, magari l’aveva letto. In tutta risposta, il vicario mi disse «No, ti conosco per un altro motivo, qualche settimana fa una ragazza mi ha mandato delle tue foto, nelle quali eri assieme ad un ragazzo, chiedendomi un rito di separazione per farvi allontanare». Abbastanza scossa, gli chiesi il nome della tipa in questione e lui marcò lo stesso della ragazza per la quale il mio amico aveva deciso di abbandonarmi, ossia la sua ex. Disperata scoppiai in lacrime, e il vicario, mosso dalla mia reazione, mi propose un lavoro. Mi disse che non era un caso che stessimo parlando proprio quel giorno, perché quello seguente avrebbe messo il 5% delle azioni della società all’asta. Mi confidò che aveva bisogno di dipendenti e che sarebbe stato felice se la sottoscritta avesse iniziato a fare la cartomante per la sua società. Mi promise di tutto: mi disse che con quel lavoro mi si sarebbe aperto un mondo, che sarei diventata molto ricca, di conseguenza avrei potuto anche cambiare casa (vivo in una casa popolare di 40mq) e che grazie alle sue conoscenze nel campo dell’editoria, avrei potuto pubblicare i miei libri e acquisire fama e successo. Come riattacco, il vicario mi invia un video correlato ad una sorta di ipnosi, che argomentava la natura dell’uomo, per dono divina; diceva che l’uomo per natura possedeva lo stesso potere di Dio e che, grazie a questo dono, poteva ottenere tutto ciò che desiderava. Devo riconoscere che quel video mi incuriosì parecchio, oltre a suscitare in me una sorta di delirio di onnipotenza: mi sentivo davvero così.

Cos’è successo dopo che hai accettato il lavoro?

Mi manda il primo cliente, il quale si complimenta in un secondo tempo con il vicario per il nuovo acquisto. Il vicario a sua volta si congratula con me. Dopo qualche giorno, lo stesso mi propone di firmare un contratto per ufficializzare la mia entrata in società. Trovandosi a Catania, domandai al tipo come sarebbe stato possibile procedere con il contratto, lui mi disse che sarebbe bastata la mia firma su un foglio di carta bianco: in altre parole avrei dovuto mettere la mia firma su un foglio senza neanche leggere le clausole apposte al contratto, fotografarla e inviargliela tramite Whatsapp in modo tale da scannerizzarla poi sul documento. Solo dopo aver firmato il contratto ebbi modo di leggere le clausole: nel documento si stabiliva che avrei percepito il 25% di ogni azione ritualistica e che l’avrei ricevuta ogni 15 del mese. Inoltre si dichiarava che nel caso in cui avessi diffuso informazioni private sul conto della società, sarei stata punita con una sanzione. Sta di fatto che nei giorni a seguire, il vicario mi telefona per dirmi che gli altri soci avrebbero voluto diventassi socia anche io. Mi ha detto che per diventarlo avrei dovuto firmare una cambiale di 40.000 euro, somma che mi avrebbe poi trattenuto dagli stipendi successivi. Firmo la cambiale, incontrando un avvocato a cui poi la consegno e acquistando quindi il 5% delle azioni. A distanza di un paio di giorni mi fa firmare anche una perizia, dicendomi che con questa sarei diventata titolare del marchio della società. Mi parve tutto abbastanza strano, anche perché mi inviò una documentazione sulla quale c’era scritto “Ilaria Di Roberto, esperta in marketing e diritti di autore”. Feci notare al vicario che sicuramente c’era stato un errore, visto e considerato che non ero affatto un perito e posseggo solo un diploma magistrale. Così lui si scaldò particolarmente, dicendomi che, diventando socia, avrei acquisito qualunque titolo. Mi urlò che ero un’ingrata a pensare di metterlo in dubbio dopo tutto l’aiuto che mi aveva dato e che, anzi, avrei dovuto apprezzare il fatto che mi stesse dando un’occasione per migliorare la mia vita e uscire da quello stato di povertà che da anni offuscava la mia esistenza.

E poi il voltafaccia del vicario.

Fomentata dal senso di colpa, feci come disse ed andai in tribunale a firmare la perizia. Nonostante avessi firmato tutto a comando, a distanza di qualche giorno qualcosa inizia a cambiare: il vicario inizia ad essere più scontroso, dicendomi che non gradiva più il mio modo di lavorare, visto che, a sua detta, ero diventata troppo amica dei clienti. Aggiunse improvvisamente: «Sei entrata in un circolo di truffatori senza precedenza! Tu i clienti li devi spennare! Ma davvero sei convinta che i soldi che ci mandano li adoperiamo per fare rituali a loro? Noi i soldi ce li spendiamo! Abbiamo un sito di spaccio, corrompiamo anche le più alte cariche legislative! E tu ormai appartieni alla nostra setta e dovrai fare tutto ciò che ti diremo. Se ti dico di buttarti nel fuoco, tu lo devi fare perché quel fuoco non ti brucerà!». «E ti do un consiglio!», aggiunse, «Se ci denunci ti faremo fare la fine che abbiamo fatto fare agli ex soci!». E da qui mi fece una lunga lista di persone che dopo aver realizzato che la sua fosse una società di truffatori, avevano deciso di uscirne e denunciare. Mi raccontò che ad alcuni, alla sua ex compresa, che aveva quasi condotto al suicidio accusandola di una truffa. La ragazza, a detta del vicario, era finita in carcere sei mesi sotto falsa accusa, dopodiché uno dei mandanti della setta le aveva fatto trovare in casa una valigetta di finti esplosivi. Mi parlò anche di una cattiva pubblicità in rete, fatta nei confronti di chi si era ribellato alla sua setta. Irrimediabilmente, ogni persona che aveva provato a negarsi di fronte alle loro barbarie, era stata truffata, sputtanata sul web, violata nella privacy. E molti di loro avevano anche subito dei furti sui loro conti bancari o postali. Quindi decido di non denunciarlo, continuando a reggere il suo gioco in attesa di trovare una via di fuga.

E così inizia un nuovo, difficile calvario.

Il vicario inizia a sottopormi a delle prove. In primis, mi dice che avrei dovuto assumere delle sostanze stupefacenti, in particolar modo una soluzione di bicarbonato e cocaina chiamata “sacra farina”, che avrei dovuto assumere affinché divenissi più forte. A questo mi opposi, inventando che in passato già ne avessi fatto abuso rischiando il coma. Premetti sul fatto che se mi fosse successo qualcosa, avrebbe perso una dipendente, così non insistette più di tanto. In compenso iniziò a sottopormi a delle ipnosi che dovevo fare ogni notte perché, a sua detta, avrei avuto bisogno di una sorta di addestramento spirituale per tornare ad avere il controllo di me stessa. Dopodiché mi chiese di fare un tatuaggio alla cui richiesta non ebbi il coraggio di oppormi, anche perché qualora decidessi di farlo, la sua risposta era sempre la stessa: «Se non obbedisci, lo sai come finisce». Spaventata mi feci tatuare, proprio come da richiesta, lo stemma del logo della società sulla spalla sinistra. E poi la seconda prova, nel contesto della quale mi venne ordinato di girare un video in cui prestavo giuramento alla setta, in questa vita e nelle prossime: la cosa più aberrante è che avrei dovuto terminare il video con un fastoso «Heil Hitler!». Consapevole che si trattasse di apologia al nazismo, pregai il vicario di non diffondere il video.

Veniamo, quindi, al 12 luglio 2019.

Quel giorno il vicario mi disse che ero a pronta a fare quello per cui ero pagata, ossia truffare i clienti. Mi disse di chiedere a ciascuno di loro la partita IVA, ossia il 22% sui rituali e operazioni commissionati alla società. Alla domanda «Ma poi rilasci una fattura fiscale?», lo stesso rispose «Sì, quella creata con photoshop». Ci tengo a sottolineare che la setta utilizzava dei sistemi di corruzione a dir poco azzardati, spesso utilizzando programmi avatar per clonare documenti, falsificare patenti, lauree, diplomi e anche programmi di campionamento voci. Mia madre, che aveva sentito tutta la telefonata, una volta riattaccato mi disse: «Prova a fare una cosa del genere e io ti caccio di casa! Non ti ho insegnato questo!». Realizzando di aver perso veramente il controllo della situazione e della mia vita, mi opposi alla richiesta del vicario, il quale, a fronte del mio disappunto iniziò a minacciarmi di morte. Mi disse che mi avrebbe perseguitato a vita fisicamente e legalmente, visto che attraverso la cambiale mi aveva creato un debito di 40.000 euro: «Dovrai cambiare nome, amici e vita di quanto sei sputtanata. E guai a te se vai a dire in giro quello che facciamo qui. Ti vengo a prendere dove sei sei!».

Oltre il danno, poi, la beffa.

Neanche il tempo di replicare che l’uomo aprì immediatamente un gruppo WhatsApp con i miei clienti e altri adepti della setta, che chiamò “Ilaria Di Roberto espulsa per frode”. Stessa prassi, lo stesso iter demenziale esplicato sulle precedenti vittime, manipolate, truffate e poi accusate a loro volta di truffa. La sera stessa iniziarono ad arrivarmi sul telefono codici di diversi tentativi di accesso Facebook. Mi ritrovai a vivere nel giro di poche ore lo stesso incubo che mi aveva attorniata nei mesi precedenti, vissuti insieme al mio amico. Il giorno seguente crea una pagina piena di insulti su Facebook, dopodiché su YouTube posta un video contenente le mie foto e quelle del mio ex dove mi definisce malata di mente. Hackera il mio numero di telefono, quello di mia madre, pubblica la foto del tatuaggio, della perizia firmata in tribunale e il video che incitava al nazismo. Apre blog e siti dove mi definisce una prostituta, una criminale, una satanista, creando conversazioni in cui la mia voce viene palesemente campionata. Fotomontaggi, derisioni, vessazioni continue che nel giro di una settimana mi condussero in ospedale. Ma non solo, il mio libro “Anima”, pubblicato nel 2016, venne piratato e reso disponibile in versione digitale. Fece girare i miei documenti di identità pubblicamente, mettendo a rischio la mia incolumità e quella della mia famiglia. Insultò persone a mio nome, generandomi un danno di immagine non indifferente. Contattò i miei ex compagni di classe, i miei ex professori o tutte persone che in un modo o nell’altro avevano fatto parte della mia vita, ridicolizzandomi senza alcuno scrupolo. Aveva preso il pieno possesso del mio telefono, della mia identità, colpendo di sana pianta anche la mia famiglia. Qui mi dico: «Ilaria, o decidi di mollare e finisci suicida, o ti metti a combattere». Ed è così che ho deciso di coinvolgere i media e raccontare davanti a tutta Italia la mia storia. Quando il vicario si accorse che la storia della sua setta fosse stata trattata da alcune trasmissioni televisive nazionali, intimorito dalle possibili conseguenze, ha iniziato a diffamarmi ulteriormente sponsorizzando di sana pianta pagine diffamatorie a mio nome. Quello fu l’inizio di una lunga e ardua battaglia.

Rivolgiti a tutte le ragazze vittime di revenge porn. Cosa ti senti di dire loro?

Mi rivolgo non solo alle vittime di revenge porn, ma a tutte coloro che si sono sentite deturpate nella dignità, violentate psicologicamente e fisicamente, svendute come fossero oggetti da strapazzo e private della propria libertà: siate ribelli, sfacciate, libere! Lungi da voi il pensiero di cambiare il vostro modo di vestire: se una persona decide di farvi del male, lo farà anche se avrete un burqa indosso. Gli uomini senza scrupoli ci considerano delle poco di buono a priori. Non permettete mai a nessuno di dirvi di rimanere a casa, solo perché perseguitate. Volete andare a ballare? Fatelo! Se qualcuno vuole farvi del male, lo farà anche se restate a casa, magari sfondando la porta d’ingresso. Togliervi dai social? E perché? Potreste conoscere persone meravigliose che a distanza potrebbero darvi tutto il supporto di cui avete bisogno. Chi vuole diffamarvi in rete lo farà lo stesso, che voi ci siate o meno. Ma soprattutto, come ribadisco in ogni occasione, continuate a denunciare. Sarà dura, sarà difficile, verrete abbandonate, denigrate, ingiuriate. Verrete messe in dubbio, vi guarderanno con aria di scetticismo, cercando di insegnarvi cosa dovete o non dovete fare e voi vi sentirete morire. Chissà, magari finirete anche per essere indagate per reati che non avete commesso, ma vi prego: non mollate mai. Per ogni donna che molla c’è un maschilista che crede di aver vinto.

Guardiamo al futuro: cosa sogni per te?

Per troppo tempo mi sono estraniata dal mondo, privandomi di quella felicità che meritavo di avere, quindi ho intenzione di riprendere in mano le redini della mia vita, con una visione più matura e responsabile, lontana dalle ingerenze di una società manipolatrice. Voglio riprendere a ballare, cosa che ho smesso di fare dall’inizio di questa storia che ha praticamente distrutto gli ultimi due anni della mia vita. Ho intenzione di continuare a fare quello per cui sono nata, danzare, cantare, scrivere e mettere su carta il mio mondo interiore. Voglio riprendere i due romanzi a cui stavo lavorando prima che mi venissero sequestrati, “Al di là del bene e del male” e “Sola contro tutti”, e di concludere entro quest’anno la raccolta di monologhi alla quale mi sto dedicando da mesi, “Tutto ciò che sono”, che tratta appunto la tematica della violenza nei suoi più svariati ambiti. Tra i miei progetti, c’è quello di aprire una casa famiglia in ricordo di Tiziana Cantone e di tutte coloro che si sono tolte la vita o sono state uccise per mano di chi diceva di amarle. Inoltre ho iniziato una collaborazione con la casa di produzione “M&N VOX” di Nicola Ursino e Marco Di Maio, insieme ai quali ho avviato un progetto no profit a sostegno delle vittime di violenza, concretizzata a traverso un videoclip intitolato “Abbassa la voce”. Si tratta di un brano cantato da me e ispirato ad uno dei monologhi contenuti nel mio precedente libro “Anima”, che affronta da vicino il tema della violenza domestica. Il ricavato del video, che a breve verrà messo sulle piattaforme di vendita, sarà devoluto in beneficenza all’associazione che deciderà di prendere a cuore il progetto. Voglio mettere la mia esperienza a disposizione di chi si sente di non poter uscire da questo vortice, creando uno sportello psicologico a supporto delle vittime e in futuro anche battermi per un decreto, ed in particolar modo per l’inasprimento delle leggi a sostegno delle vittime di violenza. Non abbiamo bisogno di cambiarci d’abito, solo di pene più severe nei confronti di chi pensa di vantare su di noi chissà quale primato.

Concludiamo le nostre interviste sempre con questa domanda: noi ci chiamiamo DonnaPOP e per noi la parola POP ha un’accezione positiva, rappresenta qualcosa di bello, di accattivante, di tendenza. Cosa è per te POP?

Per me POP rappresenta l’anticonformismo. È da molto che seguo questa rivista, e sono lieta di riconoscere che rappresenti a tutti gli effetti “l’altra voce delle donne”, quella che si allontana drasticamente da quello che l’ormai tanto denigrato ruolo della donna, dissociandosi completamente da come spesso viene dipinta dall’immaginario collettivo. Proprio per questo ringrazio la redazione per avermi concesso di condividere insieme ai lettori la mia vicenda.

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