Interviste pop: parla Riccardo Pirrone, il volto di Taffo

Abbiamo intervistato per voi Riccardo Pirrone, il Social Media Maganer di Taffo: ecco cosa ha rivelato a proposito delle recenti polemiche.

Molti di voi, prima di oggi, non sapevano nemmeno che faccia avesse, ma a tutti, almeno una volta, sarà capitato di dire: «Questo è un genio». Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Riccardo Pirrone, l’irriverente e arguto social media manager di Taffo (e non solo). Abbiamo parlato delle polemiche legate al post pubblicato in occasione della giornata internazionale contro la violenze sulle donne, del web («che non è etichettatile») e, soprattutto, di cosa significhi lavorare sul web oggigiorno.

Le parole di Riccardo Pirrone

 

Riccardo, partiamo dall’ultimo evento che ti ha visto protagonista: il 25 novembre, durante la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, Taffo ha pubblicato un post che ha infiammato il dibattito: “Ci sono due tipi di donne”, è apparso sulla grafica, poi una bara da una parte e la scritta “Quelle che denunciano” dall’altra. Una provocazione che, però, a molti non è piaciuta affatto.

Tante cose non sono piaciute, a dire il vero. Si è creata una vera e propria spaccatura: da una parte, quelli che hanno capito il post e il suo messaggio; dall’altra, invece, chi non l’ha compreso o ha voluto travisare. Il senso del post era semplice, il suo scopo era quello di spronare a denunciare. La prima critica è stata mossa da chi sostiene che l’errore sia quello di aver acceso i riflettori sulla donna maltrattata e non sull’uomo che picchia o uccide. La seconda critica, invece, è stata fatta da quelli che sostengono che, se anche una donna denuncia, non è detto che non muoia lo stesso o che il suo aguzzino finisca dietro le sbarre. Infine, una fitta schiera di attiviste ha detto che un post come quello di Taffo spaventa le donne. Per non parlare, poi, delle critiche provenienti dagli esperti del digital, cioè da quelli che dovrebbero sapere che funziona proprio così il mondo del web. Farebbero bene a parlare dei propri lavori, anziché dei miei. Dunque, partiamo dal presupposto che Taffo lavora in questo modo da sempre e ha sempre affrontato così tutte le tematiche sociali: abbiamo parlato di droga, della comunità LGBT, di guida in stato di ebbrezza, di disboscamento, abbiamo fatto campagne di raccolta fondi per Medici Senza Frontiere, per Save the children. Siamo un’azienda molto attiva nell’ambito del sociale, perché è come se il brand fosse una persona, dunque affronta determinati argomenti restando fedele ai propri valori. Questa è una strategia corretta per i social network e il successo che abbiamo ottenuto lo dimostra. Tornando al post incriminato, lo scopo era quello di veicolare un numero. Molti ci hanno visto del marcio perché, di fatto, si tratta di una pubblicità, peccato che i social funzionino proprio così. Poi, c’è da dire che ho ricevuto tantissimi messaggi da parte di donne che hanno subito violenza, le quali mi hanno detto di essere stupite per il fatto che il messaggio non sia stato compreso. Insomma, credo che criticare un post che aveva lo scopo di fare del bene e che stava funzionando sia stupido, come credo sia distruttivo continuare a ripetere che le denunce non servono a niente.

Mi viene in mente il detto che dice «Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito»: sembra che sia stata fatta della dietrologia per spostare l’attenzione da un’altra parte.

Se è stato fatto di proposito, è una cosa molto cattiva, di cui molti si dovrebbero vergognare. Anche perché il danno è stato fatto alle donne, non a Taffo. Immagina una donna vittima di violenza, che si ritrova a leggere migliaia di commenti che dicono “Denunciare non serve a niente” oppure “Taffo, stavolta hai toppato, anche quelle che denunciano alla fine muoiono”. Ci rendiamo conto del danno che queste polemiche possono arrecare alle vittime? Quindi, se denunciare non serve a niente, che devono fare? Ripeto: il danno di chi ci ha attaccato è stato fatto alle donne, non a noi, anche perché la polemica ha fruttato parecchio.

E si è rivelata l’ennesima guerra social: da una parte i sostenitori di Taffo, dall’altra gli haters.

Esatto, ma il punto è questo: se una denuncia e lo Stato non la tutela, non bisogna prendersela con Taffo, ma con lo Stato. Semplice, no? Non è Taffo che picchia le donne, ha solo detto che, se si denuncia, c’è la possibilità di salvarsi. Non credo serva essere particolarmente intelligenti per capirlo. Ma forse, semplicemente, alcuni sono stati in cattiva fede. Anche perché si è parlato solo di noi, le altre campagne si sono rivelate inefficaci, piatte, patinate, non hanno detto niente di nuovo e non hanno smosso nulla. Ma ci rendiamo conto che fanno ancora post con ‘ste scarpe rosse che girano nelle piazze? Ma quando una donna muore, mettono le scarpe rosse o le mettono in una bara? Giusto pe’ sape’…

Quanto è importante una buona vetrina sui social, anche per un marchio affermato?

Un buon prodotto funziona anche senza pubblicità, ma una buona strategia sui social può farlo schizzare alle stelle. Molte aziende, oggi, hanno iniziato a capire quanto sia importante la comunicazione social per far crescere il proprio brand. Taffo è una realtà ormai affermata, dunque può permettersi anche commenti negativi, anzi, fa parte del gioco. Molti esperti non lo capiscono, quelli che muovono le critiche sono perlopiù esperti pubblicitari di settant’anni. Per carità, non è che io sia giovane, di anni ne ho trentasette, ma a settant’anni che ne sai di social? Ci sono persone di diciotto o vent’anni che ne sanno più di noi, perché sono nativi digitali, hanno intuito, sono intraprendenti, sono svegli.

Taffo, da sempre, per comunicare col proprio pubblico, utilizza l’ironia, il sarcasmo, il black humor. Perché si fa ancora tanta fatica a comprenderlo e lo si confonde con la cattiveria e l’indelicatezza?

Il black humor ridicolizza tutto ciò che, almeno apparentemente, è intoccabile. Prende in esame gli aspetti buffi di qualcosa che viene percepito come brutto, doloroso, intoccabile: le malattie, la morte, la violenza, tutte quelle cose che di solito si dicono a bassa voce. C’è una sorta di remora nel parlarne, perché possono urtare la sensibilità di qualcuno. Tramite la satira si riesce ad ammorbidire queste problematiche e a liberarsi dall’angoscia che questi temi si portano dietro, giocando – appunto – sugli aspetti ridicoli di questi argomenti. Io ti dico «Goditi la vita, tanto presto o tardi finiremo tutti stesi in una bara», è un modo per prendersi gioco della paura della morte. Purtroppo, proprio perché si tratta di tematiche delicate, non tutti riescono ad affrontarle con leggerezza.

Secondo te, c’è un tema di fronte a cui bisogna fermarsi o è lecito ironizzare su tutto?

Non si deve fare ironia sui morti. Attenzione, noi di Taffo ironizziamo sulla morte, non sui morti. Tornando al post del 25 novembre, è bene chiarire, nel caso in cui servisse, che non aveva alcuna intenzione di far ridere, non era un post ironico, ma voleva far riflettere.

Parliamo di te e del tuo lavoro. Hai detto: «Lavoro nel WEB da sempre e da sempre il WEB non è etichettabile». Come si spiega un lavoro non etichettabile?

Hai presente una piazza di paese? Bene, la piazza è il social, i negozi tutt’intorno sono le pagine Facebook, le persone che passeggiano, che mangiano il gelato o che corrono da una parte all’altra sono gli utenti. Noi, tramite i negozi, comunichiamo con le persone, le avviciniamo alla nostra vetrina, facciamo in modo che conoscano il nostro prodotto. Nel mio caso, mi piace rendere il brand più umano possibile, non voglio che sia semplicemente un logo. In questo modo è più facile che la gente si avvicini e si interessi al prodotto.

Il lavoro sul web, tuttavia, è assai divisivo: c’è chi fatica a percepirlo come un vero e proprio mestiere e chi, invece, pensa di poterlo fare perché non servono particolari competenze. Mi racconti la tua formazione e come sei arrivato a fare quello che fai?

Io ho iniziato molto prima che nascessero i social. Ho fatto Scienze della Comunicazione, volevo fare il pubblicitario, ma c’erano solo posti in piedi. Allora ho deciso di fare qualcosa di pratico, ho fatto un corso, ho iniziato a realizzare siti internet, mi sono occupato di web marketing, posizionamento su Google, lavori che faccio ancora oggi con la mia agenzia, che negli anni è cresciuta, ero da solo, oggi siamo in dieci. Faccio campagne per aziende molto più grandi di Taffo, che è uno dei miei clienti minori. Lavoro per Medici senza frontiere, Save the children, onlus, ong, brand nazionali o anche più piccoli. Questa mia modalità di comunicazione l’ho sviluppata solo successivamente, era nella mia intuizione essere più confidenziale possibile con i miei follower, creare un rapporto più stretto. Ma non ti nascondo che ogni tanto i social li odio, vorrei staccare da tutto, del resto io volevo fare il pittore, perché mi sono ridotto così? (ride, ndr)

È giusto dire che Taffo sia un marchio politicizzato?

No, assolutamente no. Non è politicizzato, piuttosto ha appoggiato dei temi per non venir meno ai propri valori. Se, ad esempio, appoggiamo la comunità LGBT per difendere la libertà e l’uguaglianza, perché di fronte alla morte siamo tutti liberi e uguali, lo facciamo perché per noi è giusto così, non per una posizione politica. Durante il congresso di Verona, ci siamo scontrati con chi vi ha partecipato, ma noi l’abbiamo fatto perché siamo andati in difesa delle donne e della comunità LGBT. Molti esponenti di destra ci hanno insultato, a me sono arrivate minacce di morte, ma ci sono abituato. I nostri post fanno discutere e lo scopo è proprio quello: se un post non fa parlare di sé, è come se non esistesse.

Molti esponenti politici sono finiti spesso nel tuo mirino.

Io prendo in giro le gaffe dei politici e parlo di quelli che suscitano polemiche. Non parlo, ad esempio, di Zingaretti, ma chi se lo fila? Non se lo fila manco la madre! (ride, ndr) Parlo di Salvini perché è divisivo, perché – nel bene o nel male – è sulla bocca di tutti, sfrutto la sua popolarità.

Stai per pubblicare il tuo primo libro…

Primo e ultimo! (ride, ndr)

Che mi puoi dire a riguardo?

Parlerà di Taffo, di black humor e della scelta di utilizzarlo nella nostra comunicazione social. Uscirà a febbraio.

Concludiamo così: il nostro magazine si chiama DonnaPOP e, per noi, il termine POP rappresenta qualcosa di bello, entusiasmante, accattivante. Cos’è per te POP?

Pop sono le novità, tutto ciò che riesce a stupire, anche se all’inizio non è comprensibile o fa discutere. Le novità portano con sé le critiche, ogni cosa nuova viene attaccata, semplicemente perché non viene capita. Se non ci sono le critiche, vuol dire che non hai fatto niente di nuovo, quindi niente di bello.

(Clicca su una delle 2 foto)
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