Ricordate Annuccia, la piccola di casa Martini di un Medico in famiglia? Oggi, la sua interprete, Eleonora Cadeddu, ha 24 anni: le sue parole
All’età di due anni, passava gran parte del suo tempo a Cinecittà, sul set di Un medico in famiglia. Ma per lei non era un lavoro, non l’ha mai percepito come tale: era la sua seconda casa e il set era un enorme luna park. Da allora, sono passati più di vent’anni, oggi Eleonora Cadeddu non è più Annuccia, la piccola di casa Martini, ma una giovane donna consapevole e con le idee molto chiare («Quello che ho fatto è stata una scelta degli altri, oggi decido io per me»). Ecco cosa ci siamo detti durante la nostra chiacchierata.
Le parole di Eleonora Cadeddu
Eleonora, sei nata a Milano, ventiquattro anni fa, da una famiglia che con la recitazione non aveva nulla a che fare. A due anni, ti sei ritrovata a Roma, sul set di una delle fiction più importanti della tv italiana, Un medico in famiglia. Com’è successo?
Il modo in cui sono arrivata a Un medico è già un film. Sono nata da due genitori non attori, come dicevi tu, papà è sardo e mamma è altoatesina. Dopo il matrimonio, hanno deciso di trasferirsi a Milano. Io sono la terza di tre figli e mia madre si occupava di noi a tempo pieno. Quando ho iniziato a frequentare la scuola materna, ha deciso di fare un lavoro part time, così è diventata segretaria in un’agenzia pubblicitaria, in cui ha deciso di iscrivere me e i miei fratelli. L’ha fatto per gioco, non aveva alcuna velleità. Un giorno, però, è arrivata l’occasione di un provino per mio fratello (Michael Cadeddu, anche lui attore in Un medico in famiglia, ndr). All’epoca, coloro che si sottoponevano a un provino ricevevano un rimborso spese nel caso in cui venissero da un’altra città o dovessero alloggiare fuori. Così, mia madre ha deciso di portare Miky a fare questo provino e, approfittando dell’occasione, ha pensato di passare due giorni a Roma. Io, però, avevo appena due anni e, visto che papà lavorava tutto il giorno, non poteva lasciarmi con lui, così mi ha portato con sé. Arrivati a Roma, durante il provino di Miky, io e mamma eravamo fuori, in sala d’attesa, ma uno dei dirigenti è andato da lei e le ha chiesto «Possiamo provinare anche la bimba?». Mia mamma ha accettato, così sono entrata anch’io in sala e, complice il fatto di avere mio fratello accanto a me, mi sono dimostrata subito sciolta e perfettamente a mio agio. Qualche giorno è arrivata la chiamata, ci volevano entrambi sul set.
Tua madre come l’ha presa?
Continuava a ripetere «No, era solo un gioco, non facevamo sul serio»! (ride, ndr) La verità è che quel fatto significava cambiare vita, lasciare Milano, trasferirci a Roma. Mia madre era assolutamente contraria, non aveva messo bene a fuoco quanto fosse grande quello che ci stava capitando.
Un medico in famiglia ha avuto un successo enorme e, di riflesso, anche tutti voi attori. Come hai fatto a rimanere con i piedi per terra, nonostante la grande popolarità raggiunta sin da bambina?
Grazie alla mia famiglia. Purtroppo, però, non è sempre così. Esistono tanti giovani che arrivano al successo sin da piccolissimi e, pur avendo alle spalle una famiglia solida, finiscono per perdersi. A volte, purtroppo, a metterti il carico addosso è tutto ciò che ti circonda. Io ho avuto la grande fortuna di essere sempre trattata per quello che ero, ovvero una bambina, poi una ragazzina e infine una giovane donna. In più, credo che sia stato fondamentale per me il fatto di essere cresciuta in quella condizione. Non ricordo un momento della mia vita in cui non ero riconoscibile. Non ho un ricordo della mia vita in cui fossi già in Un medico. Non ho un ricordo di un momento in cui andavo per strada e non mi riconoscevano. Quindi, per me, era talmente normale vivere in quella realtà, che non l’ho mai vissuto come qualcosa di straordinario. Diverso sarebbe stato se la popolarità fosse arrivata all’improvviso, magari in età adolescenziale, quella sì che mette in discussione ogni equilibrio. Io, invece, non ho mai avuto un momento in cui ero una bambina “normale”, che poi – di fatto – sono sempre stata una bimba come la altre – solo che, a differenza delle mie compagne d’asilo o di scuola, frequentavo anche un set e stavo ore e ore davanti a una telecamera. Probabilmente, il fatto di non avere ricordi di una vita senza Un medico, mi ha permesso di vivere la mia situazione con serenità.
Alla luce di quello che mi hai detto, forse sarà difficile per te rispondere a quello che sto per chiederti. L’età preadolescenziale e adolescenziale è quella in cui si sogna, in cui ci si immagina adulti, ma tu eri già dentro il tuo sogno. Cosa sognavi tu, a quell’età?
Io non sapevo che quello fosse un sogno. Anzi, meglio ancora, non sapevo che quello potesse essere il sogno di qualcuno. Era la mia quotidianità, la mia normalità, non era un fatto straordinario. Non sapevo e non potevo nemmeno immaginare quanto sia difficile raggiungerlo. Poi ho capito che tante persone aspirano a recitare e mi sono resa conto di quanto fossi fortunata a vivere da sempre quello che è il sogno di molti.
Quando hai preso consapevolezza di quanto fosse grande quello che ti è capitato per caso?
Dopo il diploma al Liceo, prima di entrare in Accademia. In quel momento mi sono detta «Va bene, adesso devo prendere una decisione: se continuo a recitare, deve diventare il mio sogno, solo poi il mio mestiere. Ma, perché diventi il mio lavoro, devo studiare, mi devo impegnare, devo imparare tante cose che non so, rimboccarmi le maniche, fare la mia gavetta. Se, invece, prendo un’altra strada, devo accettare il fatto che questo sia stato un capitolo della mia vita, bello, sì, ma concluso».
Mettersi a studiare, dopo aver ottenuto tanto successo, non è da tutti.
Il punto è che io non mi sono mai sentita arrivata, non ho mai pensato di essere un’attrice di successo. Sono sempre stata molto razionale, so di aver fatto una cosa grande, non capita a tutti di passare vent’anni sul set di una fiction tanto amata e seguita. Però, ho sempre avuto ben chiaro il fatto che, un giorno, avrei dovuto prendere una decisione e rimboccarmi le maniche.
Oggi, invece, come sogni e, soprattutto, cosa sogni?
Oggi sogno in maniera consapevole. Sogno che il valore e la dignità di questo mestiere vengano riconosciuti da tutti, perché è un lavoro e non lo è meno di altri. Sogno che la recitazione mi faccia sentire soddisfatta, ma non in termini di successo, di fama o di pubblico, parlo di una soddisfazione personale, voglio che mi faccia sentire bene. Ero in un ambiente protetto, il set di Un medico era una famiglia, ad un certo punto mi sono detta «È arrivato il momento di venirne fuori» e ho ricominciato da zero. Così mi sono ritrovata in un altro ambiente, fatto di tanti giovani attori che, a differenza mia, non hanno avuto la fortuna che è capitata a me. E ho capito che questo è un mondo in cui è difficile che ti venga riconosciuto qualcosa, anche fosse semplicemente il diritto al tuo lavoro, mentre capita troppo spesso che vengano riconosciuti dei meriti ad alcuni che non prendono questo lavoro come un mestiere, ma come un modo come un altro per arrivare al successo. Quindi, sogno per me ma anche per tutti quelli che ambiscono a recitare.
L’arte, in generale, viene spesso bistrattata.
Ecco, hai detto la parola giusta: arte. La recitazione è un’arte, non è un mezzo per chi vuole diventare famoso e la maltratta come se fosse robetta da niente. Perché tutti pensano di poter recitare? Non tutti pensano, che so, di poter fare il medico o l’avvocato, ma perché tutti pensano di poter recitare quando gli pare? È un lavoro e, in quanto tale, necessita di studio, impegno, dedizione. La recitazione è una professione e bisogna rispettarne il professionismo. Ti piace farlo? Studia, impegnati e poi provaci. Oggi, si pensa che tutti i lavori in cui c’è un pubblico di mezzo siano facili, basta trovare la chiave giusta. E, molto spesso, questa chiave non è il talento.
A volte, questa chiave è semplicemente un considerevole numero di follower su Instagram.
Hai detto bene, ci siamo capiti.
Ti faccio tre nomi: Lino Banfi, Giulio Scarpati e Milena Vukotic.
Lino è sempre stato molto affezionato a me, sin da subito mi ha preso sotto la sua ala, ricordo che mi coccolava sia sul set che fuori. Gli sono molto grata per l’amore che mi ha dato e per essersi porto, nei miei confronti, con normalità, non come un attore di grande fama e successo, ma come un parente, una spalla a cui appoggiarmi. Milena, invece, è una persona molto elegante, mi ha insegnato il rispetto: puoi avere successo, anni e anni di esperienza, fama, ma la cosa che conta di più è il rispetto che hai verso tutti coloro che lavorano con te. Mi ha insegnato la dedizione, lei studiava la parte in maniera scrupolosa, anche se spesso le nostre scene erano semplici e si ripetevano uguali. Anche se si trattava di due o tre battute, lei si impegnava con la massima serietà. E infine Giulio: lui è andato via nella terza stagione, io ero piccola, non avevo nemmeno dieci anni. Quando è tornato, anni dopo, si è creato un rapporto davvero straordinario, soprattutto nell’ultima stagione, in cui abbiamo girato la maggior parte delle scene insieme. Giulio è divertente, è giocoso, sa farti sentire sempre a tuo agio e, soprattutto, sa ascoltare. Ci siamo confrontati spesso, abbiamo parlato, è una gran brava persona.
Cosa dà e cosa toglie un ruolo come quello di Annuccia, che – alla lunga – rischia di diventare un marchio?
Hai detto bene, è diventato un marchio. Come ti dicevo prima, io ho scelto di ricominciare da capo, come se prima dell’Accademia non avessi fatto niente. È stata una mia scelta precisa, perché non ho mai voluto che mi considerassero diversa o con qualcosa in più rispetto agli altri. Quindi ho deciso di studiare come farebbe qualsiasi ragazzo che sogna di poter vivere di recitazione. Uscita, dopo tre anni, dall’Accademia, mi sono scontrata con questa realtà: ero marchiata. Io non lo volevo quel marchio, non perché non sia grata ad Annuccia e a Un medico. Io non odio Annuccia, ma odio il fatto che sia diventata un problema. Per quanto mi riguarda, ho fatto di tutto per non farla diventare un limite. Non mi sono mai permessa di utilizzare questo marchio a mio favore, anzi, ho tagliato le mie radici e mi sono rimboccata le maniche. Fa parte di me, della mia vita, ma è il mio passato. Ho ventiquattro anni, devo cominciare da qualche parte. A mio avviso, Un medico dovrebbe o non contare niente oppure semplicemente rappresentare un’esperienza in più nel mio curriculum, ma non certamente un freno alla mia carriera. Per il resto, sarò sempre grata ad Annuccia, perché mi ha permesso di fare tanta esperienza, mi ha dato dimestichezza, sicurezza e mi ha permesso di confrontarmi sin da piccolissima con la camera. Per me, il set è come se fosse casa mia, sono a mio agio, sto bene.
Lascia che adesso ti faccia una domanda a nome di tutti i fan di Un medico in famiglia…
No, Un medico 11 non si farà! (ride, ndr)
La mia domanda in verità è un’altra: scoprire che Annuccia non è la figlia di Lele, bensì di Valerio (Stefano Dionisi), ha letteralmente sconvolto tutti i fan della serie. Com’è stato per te scoprirlo quando hai letto la sceneggiatura?
È stato un trauma, sia per me che per Giulio! (ride, ndr) Ho letto tanti commenti di fan arrabbiati e delusi, che chiedevano un finale diverso. Per me è stato strano anche sul piano pratico: sul set di Un medico, negli anni, si è creato un clima speciale, siamo diventati una grande famiglia; quindi, nel momento in cui mi sono ritrovata a recitare con due attori totalmente nuovi (Stefano Dionisi nel ruolo di Valerio e Lorenzo De Angelis in quello di Geko, ndr) è stato strano. Era come se io fossi quella di casa e loro gli ospiti da accogliere e da far sentire a proprio agio. Però si è creata subito una bella armonia, siamo stati bene.
Annuccia non esiste più, resta Eleonora: chi sei oggi?
Sono una ragazza agguerrita, consapevole di ciò che mi aspetta e di quello che ho alle spalle. Senza sentimentalismi, oggi ho ben chiaro quello che ho fatto e quello che voglio fare. Sto scrivendo le pagine della mia vita, le sto scrivendo io, stavolta, coscientemente. Quello che è successo è stato una scelta di qualcun altro, oggi decido io. Cerco di fare piccoli passi in avanti, a volte insignificanti, ma necessari: sto facendo la mia gavetta, non voglio essere più quella che non deve lottare per un rinnovo del contratto. Non voglio ritrovarmi, un giorno, a non sapere chi sono e perché ho fatto quello che ho fatto.
Concludiamo così: per noi di DonnaPOP, l’aggettivo POP rappresenta qualcosa di bello, accattivante, entusiasmante. Cos’è per te POP?
Pop, per me, è crearsi il proprio futuro da zero, capire cosa ci dà la felicità e lavorare sodo per ottenerlo, senza andarlo a cercare altrove. Non è per niente facile, eh (scoppia a ridere, ndr), lo trovo pop come idea. Anzi, come ideale, meglio ancora. Spesso mi dispero, mi piango addosso e mi dico «Non ce la farò mai». Poi mi rimbocco le maniche e ricomincio, perché la vita è davanti e c’è tanto da fare.
Eleonora Cadeddu con il fratello, Michael Cadeddu, e Lino Banfi.