Kekko Silvestre, cantante dei Modà, si è scagliato contro Tony Effe, reo di avere un repertorio fatto di canzoni misogine e sessiste.
Di recente, Kekko Silvestre, leader dei Modà, ha parlato di Tony Effe e dei suoi brani misogini. Le sue parole, in un primo momento, mi sono apparse condivisibili, al netto di una frase, che inizialmente mi sembrava solo retorica, invece rappresenta qualcosa di ben più insidioso. Kekko ha detto «Oggi nelle canzoni sento volgarità, cattiveria, la donna è trattata come un oggetto. Devi farla sentire importante, perché lo è».
Ecco, di fronte a quel «devi farla sentire importante, perché lo è», è scattato in me qualcosa che voglio provare a spiegare. Perché il problema, a mio avviso, è tutto radicato in quell’espressione apparentemente innocua, opportuna e quasi lodevole.
Kekko Silvestre come Tony Effe: ecco perché
Considerare una donna importante, quindi speciale, solo per il fatto che sia donna non è diverso dal considerarla inferiore (all’uomo, va da sé) per lo stesso identico motivo: il principio è lo stesso ed è un principio sbagliato e pericoloso. Nell’immediato, fa certamente meno danni di una frase dichiaratamente sessista, ma radica ancora di più una cultura profondamente maschilista e permeata di cliché che rallentano o addirittura interrompono un’evoluzione che, oggi più che mai, è necessaria e urgente.
Dire che una donna è importante, che è speciale non per quello che fa, ma per quello che è (cioè genericamente donna), significa metterla in una condizione di svantaggio (che solo apparentemente e superficialmente è vantaggio): il sottinteso è che ci sia qualcuno che abbia il potere di stabilire cosa sia speciale e, soprattutto, il potere di proteggerla. E questo qualcuno, ovviamente, è l’uomo.
Meschina, la canzone sessista dei Modà
Ma c’è di più. In un brano di qualche anno fa, dal titolo Meschina, anche Kekko ha scritto un testo misogino. Ecco qualche stralcio: “Soffocherei tutti i respiri che fai / Devi dirmi «scusami e feriscimi» e implorarmi di non ucciderti / Son stato in silenzio quando uscivi vestita da sera, io stanco dicevo «vai pure»”. In buona sostanza, la canzone parla di un uomo che, lasciato dalla propria compagna, che gli ha preferito un altro, è in preda alla rabbia e vuole che lei soffra esattamente come lui.
Ora, lungi da me fare la caccia alle streghe e passare al setaccio tutti i brani misogini di Kekko o di altri artisti (il che sarebbe impossibile, sono troppi), vorrei sottolineare un’altra cosa: il fatto che Kekko si senta in diritto di puntare il dito contro Tony Effe significa che non sia affatto consapevole di quanto misogino, violento e pericoloso sia quello che ha scritto in Meschina. Il fatto che non ci si accorga di tutto questo e che, alla peggio, il brano sia considerato “passionale” (come mi è capitato di leggere in giro) dimostra quanto il problema sia radicato.
I testi di Tony Effe sono “visibilmente” misogini e pericolosi, quelli di Kekko no. La violenza cantata dal primo si riconosce immediatamente, quella del secondo no, perché è figlia di una cultura che l’ha normalizzata e resa romantica: l’uomo che preferisce vedere la propria partner morta piuttosto che con un altro uomo è un eroe innamorato, passionale, combattivo, che difende il proprio onore e la propria rispettabilità.
In definitiva…
Questo non è un pezzo contro Kekko Silvestre, vorrei chiarirlo perché il problema è sistemico e non ha nulla a che fare con le tifoserie social: il punto non è stabilire se si stia dalla parte di Kekko o di Tony Effe, se sia meglio l’uno o l’altro o chi abbia scritto un testo più sessista tra i due. Il punto è riconoscere che le parole di entrambi raccontano una società fortemente maschilista, anche quando non sembra. Soprattutto quando non sembra.
Una società in cui un uomo, rivolgendosi ad altri uomini, parla della donna come se lei non sentisse, come se una realtà in cui non debba difendersi non sia nemmeno auspicabile. «Devi proteggerla», dice l’uomo agli altri uomini, «Perché lei è importante». E nessuno si accorge che la donna non vuole essere importante, ma libera. Anche da certe canzoni di merda.