Tony Effe è stato escluso dal concerto di Capodanno di Roma per i testi dei suoi brani: nessuna censura, solo buonsenso (una volta tanto).
Definire censura la legittima scelta di non far partecipare Tony Effe al concerto di Capodanno a Roma è francamente inappropriato, fuori luogo e fuorviante, perché la censura, cito testualmente Treccani, è “una forma di controllo sociale che limita la libertà di espressione e di accesso all’informazione, basata sul principio secondo cui determinate informazioni e le idee e le opinioni da esse generate possono minare la stabilità dell’ordine sociale, politico e morale vigente”.
Ora, stabilito che non si tratti di censura, ma della (condivisibile) decisione di non dare spazio a un artista che scrive testi misogini e sessisti, mi colpisce e mi rattrista l’orda di artiste e artisti che ha deciso di mostrare solidarietà al trapper. Innanzitutto perché mi aspetto che chi fa arte, chi scrive canzoni, chi conosce la storia della canzone italiana sappia il significato della parola “censura” o che si informi prima di utilizzarla in modo del tutto inopportuno.
Chi mostra solidarietà a Tony Effe è parte del problema: ecco perché
E poi per un altro motivo, non meno grave: Emma e Gaia, tra le artiste che hanno mostrato immediatamente solidarietà a Tony Effe, in più occasioni, in passato, hanno dichiarato quanto, dietro la maschera del trapper machista, si nasconda un uomo perbene. «Tony Effe è l’unico che mi abbia mai aperto la portiera della macchina», ha dichiarato
Emma. Insomma, non voglio pensare che questa solidarietà sia mossa da interessi meno nobili, come ad esempio creare engagement e traffico sui social (certo, Noemi che pubblica una storia su Tony Effe e poi pubblicizza il suo primo concerto in un palazzetto lo fa pensare…), ma che tutte le artiste e gli artisti abbiano fatto una mossa ingenua e abbiano pensato che Tony sia una brava persona e meriti di esibirsi. Voglio pensare, inoltre, che abbiano usato la parola “censura” mossi da un sussulto emotivo e che conoscano il significato del termine.
Questo motivo, dicevo, non è meno grave. Sì, perché le canzoni di Tony Effe restano quelle che sono nonostante lui apra la portiera dell’auto a Emma Marrone. I contenuti dei suoi brani arrivano al suo pubblico, costituito perlopiù da giovanissimi, e questo è un dato di fatto: io, che sono un uomo adulto e consapevole, non “rischio” nulla se ascolto le sue parole; non ne riconosco il valore artistico e non mi piace la narrazione che fa delle donne, certo, ma finisce tutto lì. Un ragazzino, che – inevitabilmente – non ha ancora sviluppato una propria maturità emotiva e sociale, si trova catapultato in una realtà in cui la donna è un oggetto sessuale. Ed è l’unica realtà che conosce mentre si forma come uomo.
Violenza sulle donne: quanto ancora poco ne sappiamo
Detto ciò, questa sperticata difesa di Tony Effe dimostra quanto sia superficiale l’approccio al tema della violenza di genere da parte di tante artiste e artisti: la lotta alla violenza contro le donne finisce quando il promotore di un certo tipo di contenuti è un amico, un collaboratore, uno che fa parte della stessa casa discografica. E, soprattutto, quanta ignoranza ci sia intorno a un tema abusato, bistrattato e ridotto a uno slogan.
Ma, mi chiedo, ci sarebbe stata tutta questa solidarietà se Tony Effe, nei suoi brani, avesse scritto contenuti esplicitamente razzisti, omofobi o fascisti? Immagino di no. E questo perché, per fortuna, con il tempo e non senza fatica, abbiamo sviluppato una coscienza sui temi che ho citato. Insomma, dubito che qualcuno di buon senso avrebbe preso le difese di Tony Effe se avesse fatto un intero disco in cui insulta omosessuali o persone non italiane. Perché, dunque, non abbiamo ancora sviluppato una coscienza morale sul tema della violenza di genere?
Perché, mi domando, al di là della persona che Tony Effe è quando si toglie i panni del trapper, nessuno trova assolutamente deprecabile, condannabile, grave il fatto che canti certi brani? Ecco, è su questo che rifletterei. Ma anche sul fatto che molte donne, che offrono la propria voce e il proprio volto a campagne per contrastare la violenza di genere, oggi abbiano sentito l’esigenza di mostrargli solidarietà.
Insomma, Tony Effe non è stato certamente condannato alla damnatio memoriae, né c’è qualcuno che chiede la sua testa. Semplicemente fa pensare il fatto che quello che fa sia ritenuto lecito, al massimo bruttino, non artistico, ma difendibile. Questa storia ci insegna, per l’ennesima volta, che abbiamo un enorme problema con le donne.