Il ragazzo dai pantaloni rosa racconta la storia di Andrea Spezzacatena, un giovane che si è suicidato dopo aver subito bullismo omofobo.
La notizia è ormai nota: gli studenti delle scuole medie di Treviso e provincia non parteciperanno alla proiezione del film Il ragazzo dai pantaloni rosa, perché i loro genitori si sono opposti. Il film, com’è noto, racconta la storia vera di Andrea Spezzacatena, un ragazzo morto suicida all’età di quindici anni dopo essere stato vittima di bullismo omofobo.
Potremmo etichettare i genitori che hanno impedito la partecipazione dei figli alla proiezione del film come omofobi, ma sarebbe – a mio avviso – una spiegazione sbrigativa, parziale e non esaustiva. Io credo (e temo, soprattutto) che questo rifiuto dipenda dal clima di intolleranza che il governo Meloni ha creato, un clima in cui qualsiasi cosa non rifletta ciò che per loro è la normalità è considerato una minaccia. Ma, soprattutto, un clima in cui raccontare la storia di una vittima di omofobia è ritenuto indottrinamento, quindi – va da sé – un pericolo per i ragazzi.
Il ragazzo dai pantaloni rosa è davvero un pericolo per i giovani?
In una società in cui i giovani tra gli undici e i quattordici anni hanno (già) uno smartphone, possiedono uno (o più) social network e navigano indisturbati tra gli incalcolabili pericoli del web, quale rischio corrono se partecipano alla proiezione di un film che racconta la storia di un loro coetaneo che si è tolto la vita in quanto vittima di bullismo? Ve lo dico io: nessuno. Tuttavia, se la stessa domanda viene posta a chi, in questo momento storico, è vittima (inconsapevole) della narrazione che il governo fa della comunità LGBTQIA+, la risposta – inevitabilmente – cambia. Perché quello che ci racconta il governo Meloni è una comunità che vuole imporre le cosiddette “teoria gender” e “ideologia gender”.
“Teoria gender” e “ideologia del gender” rappresentano un modo del tutto improprio di riferirsi agli studi di Genere. Tuttavia, ne propongono una versione distorta e falsata, che non fa altro che creare barriere alla libertà personale di ogni individuo e a fomentare odio e discriminazione.
A tale proposito, va detto che gli oppositori della cosiddetta “ideologia gender” (che di fatto non esiste) hanno contribuito e continuano a contribuire alla diffusione di informazioni inesatte, creando non poco allarmismo soprattutto tra i genitori, i quali temono che i propri figli, nelle scuole, vengano influenzati nel proprio orientamento sessuale o addirittura convinti a cambiare genere. C’è da dire che gli studi di Genere, impropriamente e ignorantemente chiamati “ideologia” o “teoria” gender, non hanno niente a che fare con tutto questo.
Adulti che non sanno fare gli adulti
A tutto ciò, si aggiunge un altro aspetto da non sottovalutare: l’incapacità, da parte degli adulti, di assumersi la responsabilità di fare gli adulti. Vietare ai propri figli di guardare Il ragazzo dai pantaloni rosa significa spostare il proprio sguardo da un’altra parte, non considerarli pronti (come qualche genitore ha detto) a un film del genere vuol dire non essere pronti, proteggerli da una storia così vuol dire proteggersi. Deresponsabilizzarsi, in altre parole.
Credo sia da irresponsabili vietare un film così ai propri figli. Allo stesso modo, è da irresponsabili pensare, ingenuamente e vigliaccamente, di proteggerli impedendone la visione: i figli protetti dalla realtà in cui loro stessi vivono non vengono realmente protetti; semmai, vengono resi più vulnerabili.
In una società in cui gli adulti si fanno scudo con i propri figli per mascherare la propria paura (per il presunto indottrinamento di cui parlavo prima, per il tema del suicidio che è scomodo, per l’omofobia che uccide, checché ne dicano i vari Salvini, Pillon e Meloni), che speranze hanno i giovani? In una società in cui un ragazzo di quindici anni si toglie la vita e gli adulti si voltano dall’altra parte, chi pensa ai giovani?
In una società in cui si muore di bullismo, quanti altri Andrea dovranno togliersi la vita prima che i grandi smettano di guardare altrove? E Andrea, che una vita non ce l’ha più, quante volte ancora dovrà morire prima di essere visto? Perché lo stiamo permettendo ancora?