Belen Rodriguez è finita, suo malgrado, sulla copertina del magazine Nuovo: ecco una riflessione sulla doppia violenza subita dalla showgirl.
Belen Rodriguez è finita sulla copertina di un settimanale di gossip. Niente di nuovo, direte voi. Il punto è che, stavolta, non ci è finita per via di una nuova relazione sentimentale, una gravidanza o per la storia con l’ex marito. No, stavolta ci è finita per via di uno scatto in cui viene immortalata per strada, mentre cammina: il vento alza la gonna e le si vedono le mutande.
L’articolo recita così: «Nel centro di Milano un colpo d’aria solleva la gonna di Belén Rodriguez e lascia intravedere lo slip rosa confetto. (…) la showgirl stupisce ancora. Come a Sanremo, nel 2012, quando fece sensazione la farfallina tatuata e messa in mostra con la complicità dell’abito dallo spacco inguinale».
Belen Rodriguez sulla copertina di Nuovo: quando la vittima diventa responsabile
C’è un punto che temo non sia chiaro a chi ha scritto l’articolo in questione (o forse sì, ma mi rendo conto che sia più utile giocare sull’inconsapevolezza e la disattenzione del lettore medio): Belen che cammina e viene immortalata da un paparazzo non «stupisce ancora come a Sanremo»: all’epoca, l’esibizione del suo corpo era voluta, stavolta no. Se una donna decide consapevolmente di spogliarsi o – più in generale – di usare il proprio corpo per lavorare, è un conto. Paparazzare una donna e, a sua insaputa, pubblicare uno scatto in cui è in mutande, è un altro. Ma c’è di più: non è solo lo scatto in sé il problema, ma il fatto che si attribuisca a Belen la responsabilità dell’azione. Mi spiego meglio: non è il giornale che fotografa Rodriguez in mutande, ma è Rodriguez che «stupisce ancora come a Sanremo».
Così facendo, il lettore medio considererà Belen un’esibizionista, perché – volendo «stupire ancora», si è messa nella condizione di farsi fotografare in mutande. Quindi, in definitiva, è Belen che si prende gli insulti. Ma non solo, c’è qualcosa di peggio dei soliti epiteti che vengono rivolti a una donna che usa il corpo per lavorare: le farsi come “Belen è abituata a spogliarsi”, “Belen è sempre nuda”, “Sai che novità vedere Belen in mutande”.
La colpa di una violenza non è MAI della vittima
Quando scrivete frasi del genere, che già – purtroppo – ho letto, dovete ricordarvi una cosa: è lo stesso principio per cui, quando una donna ubriaca, con la minigonna, in giro da sola in piena notte o con una vita sessuale attiva viene stuprata, giustificate lo stupratore e date la responsabilità (alla meglio la corresponsabilità) della violenza alla vittima, dicendo «Poteva evitare di bere», «Si sa a cosa si va incontro se ci si veste così», «Che ci faceva lì a quell’ora?», «Come se il sesso non le piacesse, ne ha cambiati così tanti, di uomini».
La vittima non ha mai nessuna responsabilità quando subisce una violenza, è bene ribadirlo. Se Belen pubblica delle foto sexy sui social, questo non vuol dire che un giornale sia legittimato a pubblicare uno scatto in cui le si vedono le mutande. Se una ragazza ha una vita sessuale attiva, questo non vuol dire che un uomo possa stuprarla. Il principio è lo stesso.
Mi rendo conto che sia un paragone disturbante, ma è tempo di dire le cose come stanno. Il tema della violenza sulle donne rappresenta un serio problema sin dal principio: si fatica ancora a capire cosa sia la violenza di genere. Per timore di esagerare, di “indignarsi per tutto”, si cerca di minimizzare: «Ma basta parlare di Belen», «Lei è famosa e deve aspettarselo», «Le vere violenze sono altre». Certo, uno stupro non è nemmeno paragonabile a una fotografia su una rivista, ma – ripeto – l’origine della violenza è la stessa: si parte sempre dal principio che la vittima avrebbe potuto fare qualcosa per evitarlo (o per non provocarlo).
Questa copertina è squallida e, ancor di più, lo è la frase che trasforma Belen Rodriguez in soggetto attivo della vicenda, quando invece è solo un oggetto. Un oggetto usato e abusato. Non so se ne verremo mai fuori. La strada, di certo, è ancora molto lunga.