Massimo Bossetti è in carcere a pagare per l'omicidio di Yara Gambirasio, ma perché alcuni puntano il dito contro la maestra?
Il caso di Yara Gambirasio continua a scuotere l’Italia intera: oggi, condannato all’ergastolo per l’omicidio della ragazza, c’è Massimo Bossetti, ma se la verità fosse diversa? Spunta l’ombra della maestra di ginnastica…
Nonostante oggi Massimo Bossetti stia pagando la sua pena in carcere, molti dubbi assalgono le persone interessate al caso ed è lecito pensare che qualcosa ancora non torni, sebbene – come accennato – sia stato trovato un colpevole per la morte della giovane Yara. L’articolo 533 del Codice di Procedura Penale recita quanto segue: «Il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato al di là di ragionevole dubbio».
Basandoci su questo principio, dunque, è opportuno porsi qualche domanda in più: e se Bossetti fosse innocente? Ragionevolmente, basandosi sui dati forensi emersi in corso d’indagine, non è del tutto sconveniente porsi qualche domanda in più. Ma perché viene indicata la maestra di Yara Gambirasio come potenziale colpevole dell’omicidio? In tanti hanno sempre dubitato del suo reale coinvolgimento nella delicata vicenda.
A inchiodare il muratore bergamasco c’è la prova del DNA; l’accusa è certa che quello trovato sul corpo della ragazza sia il materiale biologico di Bossetti, dall’altra, però, non si è mai data la possibilità alla difesa di poter fare una perizia di quel campione specifico. Questa è ovviamente un’incresciosa lacuna di cui qualcuno dovrebbe rispondere. In un mondo ideale, forse. Comunque, prove a parte, perché si puntano i riflettori sulla maestra di ginnastica di Yara?
Massimo Bossetti è innocente?
Prima di arrivare a Massimo Bossetti e indicarlo come colpevole, gli inquirenti hanno letteralmente brancolato nel buio per mesi. Sul corpo di Yara Gambirasio sono stati ritrovati altri undici campioni di DNA non appartenenti né all’operaio bergamasco, né alla vittima. Dunque, di chi sono?
Esistono altre undici persone ignote che la Procura non ha mai indagato. Si tratta di tracce biologiche importanti poiché si tratterebbe di sangue, bulbi piliferi, cute e probabilmente vomito. Ancora, però, c’è un’altra pesante criticità: il materiale rinvenuto sul corpo di Yara Gambirasio, appartenente a Bossetti, risulterebbe incompleto.
In che senso? In quella traccia è reperibile solo la parte nucleare e non quella mitocondriale; questa è un’anomalia mai registrata fino a oggi in natura. Gli altri undici materiali genetici rinvenuti, invece, sono completi. Perché, dunque, si è pensato di indagare e incolpare Massimo Bossetti se le prove regine non sono così forti da poterlo effettivamente incastrare?
Yara Gambirasio: c’entra la maestra Silvia Brena?
La Procura, comunque, ha indagato su un altro degli undici DNA rinvenuti sul cadavere di Yara Gambirasio; oltre a quello di Bossetti, gli inquirenti si sono concentrati su quello di Silvia Brena, la maestra di ginnastica della ragazza uccisa. Lei fu interrogata, ma mai posta formalmente sotto indagine.
Il suo DNA si trova sul giubbotto della vittima e le due si conoscevano bene; partendo da questo assunto, quindi, l’accusa e la Procura sostengono una tesi precisa: vittima e carnefice non si conoscevano. E chi l’ha detto?! In realtà, prove di questa circostanza non ce ne sono affatto…
Ancora, poi, appare un’altra inquietante criticità, che avrebbe potuto cambiare le sorti di Bossetti: il furgone bianco inquadrato dalle telecamere di sicurezza della palestra di Yara – come recita la sentenza di primo grado – è “compatibile, ma non uguale” a quello del muratore di Bergamo.
Le celle telefoniche
Nella sentenza assistiamo a questa ricostruzione: il 26 novembre 2010, giorno della scomparsa di Yara Gambirasio, la ragazza si connetteva per l’ultima volta con il suo telefono a una cella telefonica alle 18:50, compatibile alla palestra. Bossetti, invece, alle 18:45 allo stesso modo si connetteva a una cella telefonica diversa, compatibile con quella di casa sua.
Dove è avvenuto l’omicidio?
C’è un altro elemento che farebbe sorgere dubbi circa il coinvolgimento della maestra di ginnastica nella morte di Yara Gambirasio: la ragazza non è mai stata ripresa nel momento in cui usciva dalla palestra. Nei pressi della struttura ci sono molte telecamere di sorveglianza e nessuna di queste ha inquadrato la giovane uscirne.
C’è però un video del suo ingresso: è possibile che Yara non sia mai uscita viva dalla palestra? E nel caso fosse vero, quindi, è possibile che nessuno dei presenti in palestra si sia accorto di qualcosa? In merito a questo, il 21 dicembre del 2010, con la ragazza che risultava ancora scomparsa, un inviato di Porta a Porta aveva fatto alcune domande incalzanti alla maestra della giovane.
Di seguito il video:
I misteri del caso
A queste circostanze, poi, se ne aggiunge una fortemente disturbante: secondo le indagini, Yara Gambirasio sarebbe stata rivestita mentre era ancora viva e probabilmente tramortita, prima di essere abbandonata nel campo in cui poi è stato ritrovato il suo cadavere. Ma per quale motivo un assassino avrebbe dovuto avere la premura di rivestire un corpo di cui ha abusato?
C’è da dire, inoltre, che non vi è presenza di violenza carnale: lo stato avanzato di decomposizione, infatti, non ha mai permesso all’autopsia di stabilire se ci sia stato stupro o meno. Proprio per via degli abiti rimessi addosso alla vittima in un secondo momento, dunque, c’è da fare un ragionamento.
È chiaro che l’assassino, chiunque sia, avesse l’obiettivo di non far sapere che Yara fosse morta senza vestiti. E dov’è che una persona si sveste o si riveste? In casa, certo. Ma dove, ancora? Nello spogliatoio o nel bagno di una palestra, per esempio. La ragazza non era in casa al momento della morte e questo, secondo alcuni, basterebbe a evidenziare una certa criticità nel ruolo che potrebbe aver avuto la sua maestra.
Il DNA della maestra
Silvia Brena, come abbiamo detto, è stata ascoltata sia dagli inquirenti che dal Tribunale. Circa il suo DNA rinvenuto sul giubbotto di Yara Gambirasio, però, la maestra di quest’ultima – su come sia finito proprio lì – ha sempre dichiarato quanto segue: «Non lo so, di quel giorno non ricordo niente».
Nicola Staiti, uno degli ufficiali del RIS di Parma che ha firmato la relazione su tutte le attività di indagine scientifica, in merito alle macchie rinvenute sulla giacca di Yara, ha detto: «Non è saliva o altro materiale biologico perché risulta positiva al sangue. Aveva un profilo complesso. L’abbiamo trovata perché sul polsino del giaccone c’erano aloni scuri. Così abbiamo scoperto che si trattava di una traccia genetica. Era il Dna della Brena».
Claudio Salvagni, difensore di Massimo Bossetti, ha dunque chiesto in aula – lecitamente – se la traccia fosse compatibile con il solo contatto; dunque, se la maestra avesse avuto le mani sporche di sangue sarebbe bastato a questo a lasciare quegli aloni? La risposta dell’ufficiale è stata negativa: quella traccia ha resistito per mesi a ogni tipo di intemperia.
Le parole di Nicola Staiti: «Lo escluderei. È qualcosa di più corposo». La difesa, di fronte a queste dichiarazioni e a tutte le complesse criticità del caso, ovviamente non si rassegna e continua a battersi per il riconoscimento dell’innocenza di Massimo Bossetti. Purtroppo, a oggi, senza risultato alcuno.