Elodie come Mina: no, nessun paragone, solo una riflessione su come si pensi, erroneamente, che il talento sia un lasciapassare per il corpo.
Ogni volta che Elodie fa un’apparizione pubblica (l’ultima a Verona, per il concerto Una nessuna centomila) e indossa un capo sexy, non provoca mai reazioni tiepide e i più finiscono per insultarla con frasi sessiste. Fin qui nulla di nuovo. Poi, però, ci sono quelli che prendono le sue difese e ricordano che (anche) il pop italiano ha una lunga tradizione di artiste che hanno usato il loro corpo e la loro fisicità per esprimersi, basti pensare a Mina, Raffaella Carrà, Patty Pravo, Loredana Bertè, giusto per citarne alcune.
Ed ecco che, di fronte a questa verità incontrovertibile, c’è chi puntualizza che «Mina poteva permetterselo perché ha sempre dimostrato di avere talento», «Raffaella Carrà poteva farlo perché era una leggenda», e così via. Insomma, alle grandi interpreti pop del passato era concesso di essere sensuali ed erotiche perché avevano talento. Quindi, si perdonava loro l’esibizione del corpo perché non erano solo un corpo, ma c’era di più.
Ora, ammettiamo che sia vero che Elodie non abbia alcun talento (e vero non è), tanto basta a giustificare il fastidio e la ritrosia verso la sua scelta di vestirsi (o svestirsi) come le pare? È il talento il lasciapassare che permette a una donna di fare quello che vuole del proprio corpo? Quello che cerco di dire è questo: perché una donna deve guadagnarsi la libertà di fare quello che le pare dimostrando di avere prima di tutto talento? Non avvertite il marcio in questa visione della donna e del suo corpo?
Quindi, se Elodie avesse avuto la voce di Mina e il suo repertorio, le sarebbe stato concesso di vestirsi come vuole, ma siccome non ce l’ha deve accettare la gogna? Capite quanto è fuori luogo, basso e limitato (e limitante) questo ragionamento? Anche perché, come sempre, questo è un trattamento riservato solo ed esclusivamente alle donne.
Elodie e le altre: la libertà di mostrarsi non è una gabbia
Nessun uomo, per spogliarsi e per esibire (in qualunque modo) la propria fisicità, deve dimostrare di meritarlo. La libertà del corpo, per un uomo, non è una conquista, mentre per la donna sì. E c’è chi sostiene addirittura che non debba essere considerata libertà, bensì un’ulteriore gabbia a cui la donna si autocondanna: qualcuno, infatti, sostiene che una donna che si spoglia lo faccia per piacere agli uomini, quindi che non sia affatto libera.
Ecco, è proprio questo il punto: perché, se una donna si mostra sensuale, si crede che il fine sia quello di ottenere l’attenzione di un uomo, mentre – se è un uomo ad esserlo – allora lo fa perché è sicuro, forte, e non in quanto “vittima” dello sguardo delle donne? Perché un uomo sa certamente autodeterminarsi (ed è libero di farlo), mentre una donna no? Perché, se Damiano dei Maneskin si spoglia, alla peggio, è un esibizionista, mentre se lo fa Elodie è priva di talento, di contenuti, di morale e, soprattutto, non libera in quanto – appunto – vittima degli uomini?
L’errore è partire dal presupposto che l’esistenza stessa di una donna sia subordinata agli uomini: qualsiasi cosa faccia è per conquistare, provocare, sedurre, divertire, avvicinare gli uomini. Qualsiasi cosa faccia un uomo, invece, è solo e soltanto per sé, per la propria realizzazione. E se iniziassimo a cambiare i presupposti, abolendo il maschilismo di fondo di questo ragionamento, e iniziassimo a considerare che una donna possa e voglia vestirsi come le pare per sé?
Parità di genere non è solo consentire (chi è che ha il potere di fare questa concessione, poi, alla fine?) alle donne di spogliarsi, ma eliminare il preconcetto che c’è alla base, che non è meno misogino e pericoloso del comportamento di chi disprezza le donne per come si vestono o si svestono. Dire che le donne che si spogliano non sono libere in quanto schiave degli uomini, non rivela nulla delle donne in questione, ma spiega perché fatichiamo ad emanciparci: anche chi sostiene di essere dalla parte delle donne, in realtà, le considera costole degli uomini.
Il nemico più temibile non è il maschilismo sbandierato da chi insulta, ma quello trasparente di chi difende tutte le donne, tranne quelle che non somigliano al prototipo voluto, pensato e accettato dall’uomo.