Cosa ha detto Giovanni Allevi sulla sua malattia? E cosa ha detto poi sulla felicità? Le sue parole a seguire nell'articolo
Giovanni Allevi non si nasconde dietro a un dito e apertamente cita spesso la sua malattia, scoperta solo due anni fa. Come sta oggi il musicista?
Allevi è stato accolto da oltre seimila studenti per la Giornata mondiale della felicità che li ha raccolti tutti insieme al Forum di Assago. Questo evento motivazionale e gratuito è chiamato Happiness on Tour, Vite – Storie di Felicità ed è stato promosso dalla nota Fondazione della felicità, con Presidente Walter Rolfo.
Di recente, il compositore è stato obbligato a rinunciare a un concerto proprio per via dei suoi problemi di salute. La sua malattia, seppur affrontata a testa alta e con tenacia, piega spesso le ginocchia al noto musicista. Sul palco dell’evento gratuito, Giovanni Allevi ha mostrato diverse immagini gratificanti della sua vita e ha accompagnato queste foto a un racconto.
Ecco come ha esordito: “Pronti per un piccolo viaggio nell’inferno?. Quella che avete visto era la mia vita fino a due anni fa. Poi una malattia terribile ha spazzato via tutto. Tanto che oggi mi chiedo: magari è venuta apposta? Nel giorno della felicità voglio fare un esperimento e raccontarvi l’ultimo giorno della mia vita recente in cui sono stato immensamente felice, ma prima devo raccontarvi alcune fasi di tipo medico, di avvicinamento a quel giorno”.
Giovanni Allevi parla della sua malattia
Giovanni Allevi è stato ricoperto di applausi e ovazioni positive; su queste ha continuato dicendo: “Un giorno mi dicono che devo fare una decina di punture sulla pancia. E io penso che non ne ho voglia, che è difficile con la neuropatia e il dolore alle mani. Poi ci rifletto e mi dico: va bene. Lo faccio con risolutezza, non rassegnazione. La parola resilienza non mi è mai piaciuta, mi fa pensare a un’accettazione passiva, io invece ho uno spirito combattivo”.
Citando il suo libro, dove parla anche della malattia, ha aggiunto: “Dalle pagine di un libro uscito poco tempo fa, ‘Imperium’ di Giovanni Brizzi, apprendo che nell’antica Roma le persone destinate al comando dovevano avere tre doti: auctoritas, dignitas e gratia. Le prime due le immaginavo, ma ciò che davvero mi ha sorpreso è la grazia. Grazia nel parlare, nei gesti, nei movimenti, nelle intenzioni. Bellissimo. E ho fatto mie queste parole durante la malattia”.
Giovanni si è dovuto assumere il controllo della sua malattia: “Io non sono destinato al comando, sono una persona delicatissima e non riesco a dire agli altri cosa devono fare, come insegnante di scuola media ero un disastro. Ma nella malattia ho dovuto assumere il comando più importante: il dominio su me stesso e sulle mie paure e ansie, ho dovuto mantenere lo sguardo dritto sui fiori mentre camminavo sull’inferno e regalare un sorriso anche quando soffrivo”.
Come ha affrontato il mieloma multiplo?
Durante il percorso all’interno della malattia, i dottori hanno spiegato a Giovanni Allevi che esistono delle sostanze capaci di stimolare il nostro midollo e quindi produrre cellule staminali. Ecco cosa ha detto il musicista in merito: “Cosa sono le staminali? Una meraviglia. Sono il futuro della medicina. Tutti noi siamo in grado di produrle, o possiamo indurne la produzione con quelle punture sulla pancia. E te ne accorgi, perché senti un dolore pazzesco”.
E poi: “Ma io di quel dolore dovevo essere contento perché significava che stava funzionando. Poi le cellule bisogna raccoglierle e mi portano in uno stanzone pieno di letti separati da teli. Mi tirano via il sangue. Il sangue entra in una macchina che lo centrifuga, separa le staminali. Si chiama aferesi e potrebbe non funzionare. C’era un telo e io non la vedevo, ma vicino a me c’era una bambina, avrà avuto 7 anni e piangeva”.
Infine ha concluso dicendo: “Dio, perché permetti queste cose? Io ho dato, lei è una bimba… La mia sacchetta di staminali va in emoteca e inizia una fase apparentemente distruttiva, non potete capire il dolore. Il midollo deve essere distrutto e la scienza ha inventato la chemio per farlo”. Poi, il compositore è sceso nel dettaglio circa la sua malattia, raccontando cosa vuol dire ritrovarsi immunodepressi.
Ecco come continua il racconto di Giovanni Allevi: “Nel pomeriggio mi addormento e mi sveglio il giorno dopo. Sul tavolo la cena del giorno prima e la colazione del mattino. Divento immunodepresso, senza difese verso l’esterno, potrei morire per un raffreddore”, ha continuato l’artista che ha descritto l’effetto collaterale classico, la perdita dei capelli, arrivato con “un bruciore. Sono caduti tutti insieme, come una parrucca che mi toglievo”.
Citando poi i suoi capelli, da sempre tratto distintivo, ha detto: “Mi sono ritrovato calvo, imbottito di oppioidi che mi davano la sensazione di avere la febbre a 39, dimagrito. Lì ho capito che bastava che decidessi di lasciarmi andare e mi sarei spento. Cosa mi ha dato forza? Il non voler dare un dolore ai miei familiari e poi la cultura. In quei giorni ho visto conferenze di filosofia, di letteratura classica, ho scoperto che la fragilità umana è una costante dell’umanità e mi sono sentito meno solo”.
Le parole sulle cellule staminali
Sempre elogiando le cellule staminali, Giovanni Allevi ha detto: “Le staminali entrano nel corpo e dicono: c’è da ricostruire un midollo. E magari producono globuli bianchi buoni e forti in grado di attaccare anche le cellule cancerogene. Inizia un’attesa snervante (…) Una mattina un giovane dottore entra con veemenza, senza tuta, guanti, mascherina. Agita dei fogli, mi dice: ‘Maestro, ha 13 globuli bianchi’. Con senso di umorismo gli rispondo che forse sono un po’ pochini. In realtà erano 13 globuli bianchi per millimetro cubo, la bilancia iniziava a pendere di nuovo verso la vita”.
Concludendo ha parlato della felicità in questi termini: “Vengo investito da una felicità allo stato puro. Non una sensazione effimera, mi è venuto addosso un treno, un grattacielo. Semplicemente perché ero vivo, non per un concerto o per il numero di follower. Ho provato un profondo senso di gratitudine per il talento dei medici, l’affetto degli infermieri, per il cibo lasciato sul tavolo, il rosso dell’alba che è diverso dal rosso tramonto. Ma quel picco è rimasto alto, una fascia compatta. La gioia di vivere”.