Giulia Cecchettin, la nonna Carla Gatto e l’odio che non si ferma di fronte a niente

Carla Gatto, nonna di Giulia Cecchettin, è finita al centro di un'aspra polemica perché non soffre come gli altri vorrebbero che soffrisse.

Niente è più intimo del dolore. Niente è più soggettivo, personale, distintivo del dolore. Ognuno soffre come sa, come può, come ha visto fare, come si concede di soffrire. Dal dolore si scappa, nel dolore si resta, sul dolore si cammina, si costruisce e, qualche volta, purtroppo, si muore.

Alla luce di tutto questo, io faccio davvero fatica a capire perché a molti dia fastidio il modo in cui gli altri soffrano. Perché a molti risulti tanto insopportabile un dolore che, semplicemente, non somiglia al loro. Mi sono risposto così: se hai sofferto nel modo che consideri giusto, opportuno, socialmente accettabile, non hai sofferto tu. Il dolore non è una scelta, è una conseguenza. Non è una posizione, è una reazione. Il dolore non risponde a nessuna regola scritta né tacita. Lo fa solo quando non si esprime davvero.

Veniamo ai fatti: Carla Gatto, nonna di Giulia Cecchettin, è finita sotto accusa per la presentazione del suo libro, scritto prima della tragica scomparsa della nipote, e per un’intervista rilasciata durante lo stesso evento. La presentazione del libro era stata programmata, già in precedenza, in occasione della giornata contro la violenza contro le donne. Carla Gatto, infatti, è da sempre un’attivista contro la violenza di genere e il libro in questione tratta lo stesso tema.

Le critiche alla nonna di Giulia Cecchettin, tuttavia, non dicono nulla della sua sofferenza. Non la raccontano, semmai la giudicano. E il giudizio nasce da un presupposto sbagliato, insensato, pericoloso: credere che si possa e si debba soffrire in un modo solo. Liberarsi da questa trappola significa concedersi di poter guarire dal dolore, di non restarne vittime. È un processo complesso, non immediato, perché implica la rinuncia all’approvazione degli altri. E spesso, purtroppo, ne abbiamo bisogno, perché ci dà la misura di quel che è giusto, lecito, ammissibile. Ma non è la nostra misura.

Mi piacerebbe che quello che ho scritto fosse motivo di riflessione per chi, vedendo Carla Gatto fare il proprio lavoro, ha sentito il bisogno di esprimere dissenso, fastidio, distanza. Perché, mi domando, l’empatia esiste solo se l’altro ci somiglia? Semplice: perché l’empatia è un’altra cosa. L’empatia va dove sente, non dove vede.

Io credo che chiunque abbia criticato la nonna di Giulia non sia cattivo, ma incattivito, perché niente è più pericoloso di un dolore trascurato, vissuto come gli altri avrebbero voluto. Come gli altri avrebbero fatto. Chi sa questo, non ha bisogno di puntare il dito, perché conosce il senso profondo della sofferenza. Che è un senso unico.

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