Si parla tanto di violenza sulle donne, ma spesso non nel modo giusto. Ecco alcune riflessioni sugli ultimi casi di cronaca.
Negli ultimi giorni, si è parlato spesso di violenza sulle donne: prima il presunto stupro perpetrato dal figlio di Ignazio La Russa ai danni di una ragazza di Milano, poi la sentenza che ha assolto un bidello di Roma dall’accusa di violenza sessuale per aver palpato alcune alunne (a detta dei giudici il fatto non costituirebbe reato perché non c’era «l’intenzione di molestare» ed è avvenuto per un tempo – tra i cinque e i dieci secondi – considerato troppo breve per configurare una molestia), infine il cantante Federico Rossi, durante un live, ha baciato una ragazza del pubblico senza il suo consenso.
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Fatti diversi, certamente, con sfumature diverse di gravità, senza dubbio, ma che – ognuno a suo modo – raccontano quanto il tema della violenza sulle donne sia ancora intriso di ignoranza, inconsapevolezza, pregiudizio. Ma, soprattutto, quanto sia maschilista e fallocentrica la narrazione che si fa della violenza che ha per vittime le donne. Perché sì, va detto, oggi per fortuna se ne parla di più, ma non sempre nel modo giusto.
Da Federico Rossi a Ignazio La Russa: parliamo di consensualità
Partiamo dalla fine, dal fatto – diremmo – meno grave: il bacio non consensuale di Federico Rossi a una fan. Senza voler condannare anzitempo il cantante, perché non si conosce ancora l’identità della ragazza, voglio però sottolineare che qualsiasi gesto fatto senza che ci sia consensualità è una violenza, ed è – appunto – da condannare sempre. Lo è oggi e lo era prima, anche se, anni addietro, si era meno consapevoli di molte cose e si finiva per giustificare azioni che adesso, per fortuna, vengono considerate assolutamente deplorevoli.
Non importa, come sottolinea qualcuno, se la ragazza non sia apparsa turbata (anche se, dopo pochi istanti, si sottrae al bacio e sembra tutt’altro che a proprio agio). E non importa nemmeno se non si sia allontanata subito. Non è la reazione della vittima a determinare la gravità di un gesto: un atto di violenza è tale sempre, a prescindere da quello che la persona che lo subisce fa.
E a proposito di reazione della vittima, mi collego all’episodio – senz’altro più grave – che riguarda il figlio di La Russa. Senza voler, anche in questa occasione, condannare il ragazzo perché il caso è in mano alla magistratura, è bene sottolineare un fatto ovvio, che continua a non essere tale per tutti: niente giustifica, sminuisce né alleggerisce la posizione di chi fa violenza. Se la reazione della vittima è quella di non denunciare immediatamente (per paura, per vergogna, a volte persino perché molte donne non sono consapevoli di aver subito una violenza o una molestia), questo non modifica in alcun modo la gravità della violenza stessa.
A questo, aggiungo che non la modifica neanche l’abbigliamento, non importa nemmeno se la vittima sia ubriaca o se abbia fatto uso di stupefacenti, l’orario in cui esce o il posto in cui si trova: la violenza ha un solo colpevole, chi la fa.
La violenza ha un solo colpevole: chi la compie
C’è, o dovrebbe esserci, un solo modo per raccontare uno stupro, una molestia, una violenza: dal punto di vista della vittima. Invece, sempre più spesso, noto come il fatto in questione venga accessoriato di elementi che umanizzano, semplificano, ridicolizzano la violenza. Conseguentemente, la risposta della gente è quella di guardare il contorno: «La ragazza baciata da Federico Rossi sorride, quindi non è successo niente», «La ragazza era drogata, siamo sicuri che sia stata stuprata?», «Non ci vedo niente di male in un bidello che scherza con gli alunni».
Tutto questo, alla fine, genera un solo effetto: la violenza sulle donne, che è un tema ampio, delicato, difficile, viene riconosciuta solo in fatti eclatanti, in cui c’è una distinzione netta (come se negli altri casi non vi fosse) tra vittima e colpevole: da una parte una donna (magari madre o quasi madre, giovane, bella, innamorata e fedele) e dall’altra un «orco» o un «mostro».
La violenza è tanta, ha forme e sfumature (e purtroppo anche narrazioni) diverse, ma non è mai giustificabile. Ovunque non ci sia consenso, quindi ovunque ci sia prevaricazione, c’è violenza. Prima ne diventeremo consapevoli, prima sarà possibile arginarla.