I nomi di Giulio Regeni e Patrick Zaki sono accomunati dal desiderio di denunciare ogni diritto negato, torture e repressioni
Giulio Regeni e Patrick Zaki hanno in comune una storia personale di diritti violati. Entrambi sono stai torturati per il loro attivismo nel denunciare ogni forma di repressione. Il primo è morto proprio per questo motivo, il secondo continua con coraggio il suo impegno! Scopriamo di seguito tutti i dettagli!
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Giulio Regeni era un giovane ricercatore italiano, torturato e ucciso a Il Cairo dalla polizia egiziana. I genitori del ragazzo ancora non hanno avuto le dignitose Verità e Giustizia che meritano.
Neo laureato presso l’Università di Bologna con 110 e lode, Patrick Zaki da oltre tre anni è accusato di incitare contro il Governo egiziano. Secondo la Procura dell’Egitto diffonde false notizie sul suo Paese. Perchè tutto questo? Zaki, in effetti, è attivo nel sostenere i diritti umani, denunciando ogni forma di repressione. Vediamo di fare chiarezza nella sua vicenda che, nel mondo civile contemporaneo, va oltre l’assurdo!
Chi era Giulio Regeni?
Il 3 febbraio 2016 è stato ritrovato il corpo nudo e senza vita di Giulio Regeni. Era stato rapito il 25 gennaio dello stesso anno. Luogo del ritrovamento è un fosso lungo l’autostrada che collega Il Cairo ad Alessandria, nelle vicinanze di una prigione dei servizi segreti dell’Egitto. Il cadavere mostrava palesi segni di tortura e mutilazioni.
Regeni era un giovane ricercatore italiano dell’Università di Cambridge. Nato a Trieste il 15 gennaio 1988, al momento della sua orribile morte Giulio Regeni aveva appena 28 anni.
Nel 2016 Regeni stava conseguendo un dottorato di ricerca presso il Girton College dell’Università di Cambridge e si trovava in Egitto per svolgere una ricerca sui sindacati indipendenti egiziani presso l’Università Americana del Cairo. Pubblicava articoli tramite l’agenzia di stampa Nena, scritti spesso con lo pseudonimo Antonio Drius, dove descriveva la difficile situazione sindacale dopo la rivoluzione egiziana del 2011.
Regeni è stato rapito il 25 gennaio 2016. Il suo omicidio è stato commesso tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio 2016. Il martoriato corpo del ragazzo, al ritrovamento, presentava evidenti segni di tortura. Nel vederlo, la madre ha detto: “Non avrei mai immaginato di riconoscere il mio Giulio soltanto dalla punta del naso”.
E ancora: “Ho visto nel volto di mio figlio tutto il male del mondo“.
I responsabili della sua morte
Dopo che il 10 dicembre 2020 la procura della Repubblica di Roma ha chiuso le indagini preliminari, il 25 maggio 2021 sono stati rinviati a giudizio quattro ufficiali della National Security Agency, il servizio segreto interno egiziano: il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamel e Usham Helmi e il maggiore Magdi Sharif. I reati loro contestati comprendono il sequestro di persona pluriaggravato, il concorso in lesioni personali gravissime e l’omicidio, ma non il reato di tortura perché quest’ultimo è stato introdotto nel codice penale italiano solo nel 2017.
I quattro ufficiali indagati risultano irreperibili perché la magistratura egiziana non ne ha fornito gli indirizzi di residenza, né ha concesso ai magistrati italiani di essere presenti agli interrogatori degli indagati stessi, nonostante questi quattro indiziati siano stati iscritti nel registro degli indagati nel dicembre 2018 e nonostante le richieste dalla procura di Roma inoltrate già con la rogatoria del 5 maggio 2019.
La legge italiana prevede che, per svolgere il processo, devono essere notificati gli atti agli imputati al loro indirizzo di residenza.
Perché Giulio Regeni fu ucciso?
Secondo la Procura di Roma, il movente del violento interrogatorio e del conseguente omicidio di Giulio Regeni fu il sospetto, assolutamente infondato, che il giovane ricercatore italiano volesse finanziare una rivoluzione.
La possibilità più allarmante è che la morte di Regeni sia stata un messaggio verso l’Occidente, un tremendo segnale che, sotto al-Sisi, anche un occidentale può essere soggetto agli eccessi più brutali.
Processo
Purtroppo, a sei anni e mezzo dall’omicidio di Giulio Regeni, la Verità e la Giustizia sembrano ancora lontane. Venerdì 15 luglio 2022, infatti, i giudici della Cassazione hanno dichiarato che il processo per il sequestro, le torture e la morte del giovane ricercatore italiano non si potrà svolgere fino a quando l’Egitto non fornirà gli indirizzi dei quattro imputati, tutti agenti della National security, il servizio segreto civile egiziano, in modo da notificare loro gli atti.
News sul caso Giulio Regeni
Oggi il processo in Italia per i quattro 007 egiziani, accusati di avere sequestrato, torturato e ucciso Giulio Regeni rischia di arenarsi definitivamente. La legge italiana, infatti, prevede che il processo si può svolgere in Italia soltanto dopo che agli imputati sono stati notificati gli atti al loro indirizzo di residenza.
La maggior parte degli italiani concorda con la seguente riflessione: “Ma è possibile che un paese come l’Italia non riesca ad avere quattro indirizzi? Non possiamo crederci!”
Chi è Patrick Zaki?
Patrick Zaki ha 32 anni. è nato a Mansura, in Egitto, il 16 giugno 1991, sotto il segno zodiacale dei Gemelli. All’anagrafe l’attivista egiziano è registrato con il nome completo di Patrick George Zaki.
Attivista egiziano, Patrick Zaki è nato da genitori di religione cristiana ortodossa copta. Ha studiato nella capitale dell’Egitto, Il Cairo, dove si è laureato in farmacia presso la German University. In occasione delle elezioni presidenziali egiziane del 2018, Zaki è stato uno degli organizzatori della campagna elettorale di Khaled Ali, l’avvocato impegnato nella difesa dei diritti umani. A seguito di parecchie denunce del clima di intimidazione e di numerosi arresti dei suoi collaboratori. è stato costretto a ritirare la sua candidatura.
Riassunto della storia di Patrick Zaki
Dall’autunno del 2019 Patrick Zaki si trovava in Italia per frequentare un master universitario in studi di genere, presso l’Università di Bologna. Il 7 febbraio successivo, nel 2020, il ragazzo è ritornato in Egitto per visitare i suoi parenti. Appena atterrato all’aeroporto de Il Cairo, alle ore 4 del mattino, è stato catturato dagli agenti dei servizi segreti egiziani. Nelle ventiquattro ore successive non sono trapelate sue notizie ai suoi familiari. Due giorni dopo, il 9 febbraio, a informare del suo arresto, è stata l’Egyptian Initiative for Personal Rights, l’associazione di cui Zaki faceva parte.
L’arresto di Zaki, essendo uno studente dell’Università di Bologna, ha suscitato enormi mobilitazioni in seno alla società civile e alla politica italiana, ricevendo anche notevole attenzione mediatica, non soltanto in Italia ma anche all’estero. Molte città italiane, nel corso del tempo, hanno gli hanno concesso la città onoraria. Tra le altre, Bologna, Roma, Milano, Taranto, Crotone.
Motivi dell’arresto di Patrick Zaki
Secondo i dati forniti dalla polizia egiziana, ci sarebbe un’altra versione. Zaki sarebbe stato arrestato nel quartiere Jadyala a Mansura, a un posto di blocco, l’8 febbraio 2020.
Nel mandato d’arresto sono stati formulati diversi capi d’accusa: minaccia alla sicurezza nazionale, incitamento a proteste illegali, sovversione, diffusione di false notizie, propaganda per il terrorismo. A essere contestati, nello specifico, sono alcuni post pubblicati da Zaki nel suo profilo Facebook. Dalle informazioni fornite dal governo egiziano, Zaki sarebbe stato attivo in Italia per approfondire una tesi sull’omosessualità e per incitare contro lo stato de Il Cairo.
L’avvocato di Zaki ha divulgato la notizia che il suo assistito è stato bendato e torturato per 17 ore consecutive dalle forze di sicurezza egiziane, ricevendo con colpi allo stomaco, alla schiena tramite scariche elettriche. Nell’interrogatorio si è fatto riferimento al motivo della sua permanenza in Italia, di un suo presunto legame con la famiglia di Giulio Regeni e del suo impegno politico. Zaiki, inoltre, è stato minacciato di stupro.
Dalla Procura Generale di Mansura, invece, sono arrivate dichiarazioni del tutto contrarie. Hamada el-Sawy, il Procuratore Generale dell’Egitto, ha negato che Zaki sia stato torturato dalla polizia egiziana e che non aveva nessuna ferita sul corpo.
Carcere e processo di Patrick Zaki
Dall’8 febbraio 2022, in attesa del processo, Zaki è stato trattenuto in carcere, prima a Mansura e in seguito a Il Cairo, in detenzione preventiva più volte prolungata.
Sette mesi dopo, il 14 settembre 2020, si è tenuta la prima udienza del processo, dove la Procura egiziana ha sostenuto che Zaki avrebbe diffuso false notizie, sia dentro sia fuori l’Egitto. Le principali accuse erano in riferimento a un articolo, firmato dal giovane ricercatore, pubblicato nel 2019 sul giornale libanese Daraj, dove erano riportate persecuzioni e discriminazioni subite dalla comunità copta egiziana.
Il 7 dicembre 2021, al termine della terza udienza, il tribunale egiziano ha ordinato la scarcerazione di Zaki, che potrà rimanere in libertà per la restante durata del processo ma con il divieto di uscire dall’Egitto.
Quasi un anno dopo, il 24 novembre 2022, il Parlamento europeo ha approvato un’altra risoluzione sull’Egitto in cui critica la situazione dei diritti umani e chiede la liberazione degli attivisti per i diritti umani e giornalisti che sono in carcere e la revoca del divieto di viaggio a Zaki.
Laurea di Patrick Zaki
Il 5 luglio 2023 Patrick Zaki si è laureato con 110 e lode all’Alma Mater di Bologna. L’attivista ha così completato i suoi studi in Letterature moderne, con il master in Women’s and gender studies, con una tesi in Media, giornalismo e impegno pubblico.
Patrick Zaki ha partecipato alla sua laurea dall’Egitto, in videocollegamento. Non gli è stato concesso il permesso che aveva richiesto per poter viaggiare e raggiungere Bologna per la proclamazione. Lo studente dell’ateneo bolognese è rimasto nel suo Paese, dove continua a essere sotto processo. Ecco cosa ha detto l’attivista al termine della proclamazione: “Ringrazio questa città e la stampa libera, lo studio è stata la mia resistenza”.
Dal canto suo, Giovanni Molari, il rettore dell’Università di Bologna, ha replicato: “È un giorno di festa, ma sarà vera festa quando potrai tornare a Bologna”.
Cosa hanno in comune i due attivisti? Sia Giulio Regeni sia Patrick Zaki sono due personaggi sensibili nei confronti del rispetto dei diritti umani. Entrambi impegnati in prima persona per far emergere e denunciare ogni forma di repressione e prepotenza, soprattutto governativa.
Giulio e Patrick sono stati studenti universitari, impegnati nell’approfondire questioni storiche e sociali. Hanno dedicato la loro vita alla Giustizia e alla Verità. Purtroppo Giulio Regeni è stato assassinato proprio per il suo impegno. A distanza di pochissimi anni, Patrick è stato arrestato, torturato e accusato di diffondere false notizie e di incitare il popolo contro lo Stato egiziano. Una storia che si ripete. Noi auguriamo a Patrick Zaki di proseguire i suoi studi con lo stesso impegno che lo ha contraddistinto fino a oggi, nella speranza che presto ogni accusa nei suoi confronti sia del tutto svanita e possa raggiungere, una volta per tutte, la meritata e vera LIBERTÁ.