Bella Ciao è la nota canzone simbolo del 25 aprile. Ma si tratta di un brano di sinistra? Scopriamolo le origini di questo inno
Bella ciao è una canzone al centro del polverone mediatico che ha coinvolto Laura Pausini. La cantante, ospite di una trasmissione televisiva spagnola, ha rifiutato l’invito del conduttore a cantarla insieme al cast dello show. Viste le polemiche non appena la clip è diventata virale, Laura si è giustificata dicendo di non aver intonato il brano perché si trattava di una canzone “troppo politica”. Lo è davvero? Di chi è? Andiamo a scoprire tutti i dettagli e le curiosità sulle origini e la storia di questo storico pezzo che si intona da sempre il 25 aprile (e non solo)…
Leggi anche: 25 aprile, che festa è? Cosa si festeggia oggi? Significato, storia e cosa è successo nel 1945?
Bella ciao è una canzone di sinistra?
Bella Ciao è una canzone di sinistra? La risposta a questa domanda è non esattamente. Il brano viene intonato come inno alla resistenza e alla voglia di libertà. Per intenderci, considerare Bella Ciao un canto di sinistra sarebbe come sostenere che il 25 aprile sia la festa solo di una parte della popolazione italiana: comunque la sia pensi oggigiorno, siamo tutti stati liberati dal nazifascismo e questo è un fatto storico. Si può affermare, dunque, che Bella Ciao abbia una sola matrice politica, ovvero l’antifascismo.
Stima per #LauraPausini. #bellaciao pic.twitter.com/rSqBddUj1o
— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) September 13, 2022
È una canzone politica?
Il brano è una canzone politica perché è un’ode all’antifascismo. Attribuita ai partigiani, nel tempo la sinistra ha sicuramente preferito il brano rispetto alla destra. Ma questo non significa che il pezzo abbia effettivamente un colore politico: come detto poco sopra, Bella Ciao è di tutti.
Game
Set
Match
.#BellaCiao #LauraPausini pic.twitter.com/zGjzFfzsbP— Stefano StS (@IlCaroLeader) September 15, 2022
Chi la canta?
Ha fatto parte della colonna sonora de La Casa di Carta, la famosissima serie Netflix prodotta in Spagna. Ma chi la canta originariamente? Credenza popolare vuole che siano a stati i partigiani i primi a intonarla ma, dal punto di vista storico, non ci sono prove di ciò: il testo della canzone non compare, infatti, nelle raccolte degli inni partigiani pubblicate nel dopoguerra. Compare invece, per la prima volta, sulle pagine de L’Unità nel 1953.
Secondo lo storico Giacomini, invece, esisterebbe una prova dell’origine partigiana del brano: si tratta di una lettera, da lui stesso rivenuta, scritta e inviata dalla prigioniera Lydia Stocks ad Amato Vittorio Tiraboschi, ex comandante della brigata Garibaldi Marche. L’origine della canzone, dunque, sarebbe da attribuirsi alla resistenza marchigiana, meno conosciuta a livello nazionale e proprio per questo la paternità del pezzo non sarebbe saltata fuori subito.
Chi l’ha scritta?
Si tratta di una canzone conosciutissima in Italia come fuori dai confini nazionali. Chi l’ha scritta? Le storie sull’origini del brano sono tante ma di sicuro pare che la melodia Le storie tramandate la melodia sia stata ispirata da un brano del 1919 composto dal fisarmonicista tzigano Mishka Ziganoff. Il titolo? Eccolo qua: Klezmer-Yiddish swing music. Il canto, in lingua italiana, avrebbe poi raggiunto la notorietà su scala nazionale dopo essere stato eseguito in apertura e in chiusura del Festival di Spoleto (1963) cantato da Giovanna Daffini. Una curiosità: per il testo c’erano due versioni. La prima riguardava la vita delle mondine nelle risaie, la seconda la storia che tutti oggi conosciamo.
Testo
Bella Ciao è una canzone storica ed entrata nella tradizione del nostro Paese per rappresentare l’antifascismo. Qui di seguito, il testo del brano:
Una mattina mi son svegliato,
oh bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
Una mattina mi son svegliato
e ho trovato l’invasor.
O partigiano, portami via,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
O partigiano, portami via,
ché mi sento di morir.
E se io muoio da partigiano,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
E se io muoio da partigiano,
tu mi devi seppellir.
E seppellire lassù in montagna,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
E seppellire lassù in montagna
sotto l’ombra di un bel fior.
E le genti che passeranno
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
E le genti che passeranno
Ti diranno «Che bel fior!»
«È questo il fiore del partigiano»,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
«È questo il fiore del partigiano
morto per la libertà!
Critican a @LauraPausini por no querer cantar "Bella Ciao" pero bailan esto en los antros, la hipocresía 🙄 pic.twitter.com/v2Cf6qzx4H
— Andry el de Laura 🩷 (@andryeldelaura) September 13, 2022
Significato
Il pezzo ha per significato i valori universali di libertà e opposizione alle dittature e alla guerra, senza riferimenti politici o religiosi. Anche per questo, oltre a essere diventato inno simbolo del 25 aprile, è tornata utile anche all’estera ogniqualvolta ci fosse necessità di affrontare il tema della liberazione. Tradotta in moltissime lingue, la canzone è stata intonata, per esempio è stata intonata a Istanbul dai manifestanti contro il premier turco Erdoğan (2013), poi in occasione delle commemorazioni delle vittime del giornale satirico francese Charlie Hebdo e durante il funerale di uno dei suoi vignettisti (2015). Infine, è anche tuttora l’inno dei Fridays for Future.
Chi è l’invasore?
Il brano ha un testo molto celebre che tutti conosciamo a memoria. Ma chi è l’invasore di cui parla la canzone? L’invasore è il nazifascismo contro cui il brano si schiera senza però mai nominarlo. Questo ha reso possibile l’utilizzo dell’inno anche in circostanze estere, contro ogni tipo di dittatura e in nome della libertà.
Quando è stata scritta
La canzone ha origini che si perdono nella leggenda e risultano tuttora misteriose. Di sicuro, la prima pubblicazione del testo del canto si assesta nel 1953 sulla rivista La Lapa. L’Unità lo riportò per la prima volta solo quattro anni dopo, ovvero nel 1957. Il brano divenne poi popolare dopo essere stato cantato da Giovanna Daffini al Festival di Spoleto del 1963.
Seguici su Instagram cliccando QUI!