Omicidio Elena Del Pozzo: la Sindrome di Medea colpisce la madre Martina Patti

Omicidio di Elena Del Pozzo per mano di sua madre Martina Patti: cos'è la Sindrome di Medea? E come si manifesta?

Quello che è successo ad Elena Del Pozzo lo sappiamo tutti: la bambina, di quasi 5 anni, è stata uccisa da sua madre Martina Patti. Secondo gli psichiatri, questa particolare e tremenda circostanza ha un nome: si chiama Sindrome di Medea, ma in cosa consiste? E perché si manifesta?

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L’omicidio dei figli da parte dei genitori lascia sempre sconvolti; è quello che l’opinione pubblica sta facendo emergere – ancora una volta – apprendendo i dettagli dell’omicidio di Elena Del Pozzo, avvenuto per mano di sua madre Martina Patti. Se i più sono sorpresi da questi avvenimenti, gli psichiatri trovano invece un “movente”, se così si può chiamare. Stiamo parlando della Sindrome di Medea, una circostanza che prende il nome dal mito di Medea, conosciuto come dramma teatrale e opera letteraria. Negli ultimi venti anni si sono registrati oltre 480 omicidi di bambini avvenuti per mano dei loro genitori, così come è stato per la piccola Elena Del Pozzo e sua madre Martina Patti. Ma cosa sappiamo della Sindrome di Medea?

La parola dello psichiatra

Non appena Martina Patti è crollata, raccontando di cosa abbia fatto a Elena Del Pozzo, ha detto:

Non ci ho capito niente, è come se qualcuno si fosse impossessato di me.

Ma cosa voleva dire? Quale fattore si innesca nella mente per avviare un raptus simile e così violento? Andrea Rapisarda, psichiatra, psicoanalista e psicoterapeuta SPI-IPA, in merito a ciò che è successo a Elena, dice:

Nella coppia il padre ricopre un ruolo di equilibrio in un rapporto molto profondo tra madre e figlio. Quando questo elemento di equilibrio viene a mancare il rapporto scende ad un livello molto delicato. È esperienza quotidiana che i figli vengano usati dai genitori quando c’è un conflitto nella coppia. Nel caso dell’omicidio di Elena Del Pozzo e Martina Patti è facile immaginare che, anche in questo caso, la figlia sia stata usata come strumento di attacco all’altro componente.

Questo, quindi, si riassume come Sindrome di Medea. Come sappiamo, infatti, il padre della bambina, Alessandro Nicodemo Del Pozzo, da tempo non viveva più insieme alla sua ex fidanzata e sua figlia. Fra le due famiglie, infatti, c’erano grandi conflitti, come confermato anche da Rosaria Testa, nonna paterna di Elena.

Lo “stato sognante”

Alla Sindrome di Medea, poi, va aggiunto anche il cosiddetto “stato sognante”, ovvero una particolare condizione che segnala una non-premeditazione dell’omicidio, bensì, appunto, un raptus “accidentale” che conduce a conseguenze tremende come, appunto, la morte di un figlio. In questo caso, dice Rapisarda, possiamo parlare di un fenomeno di “distacco dalla realtà”:

Il rapporto con la realtà è una condizione che necessita di un funzionamento della mente sufficiente. Si può pensare che questa donna sia entrata in uno stato sognante. Questa condizione può essere raggiunta se si entra in uno stato in cui non domina più la realtà esterna ma dominano il mondo e il desiderio interno, in questo caso la vendetta personale. Uno stato in cui si perde la distinzione tra madre e figlia e tra amore e odio.

Accenni di personalità borderline in Martina Patti, madre di Elena Del Pozzo

Oltre che dalla Sindrome di Medea, l’omicidio di Elena Del Pozzo per mano di sua madre Martina Patti, però, secondo la psicologa e psicoterapeuta Funzionale Caterina Iudica, attecchirebbe le sue radici nella giovane età della madre (23 anni), nel suo passato e nel rapporto con la famiglia di origine (banalmente, i suoi genitori). Ecco la parola dell’esperta:

In questo specifico caso l’organizzazione rozza dell’omicidio potrebbe corrispondere a diversi quadri di patologia. Si potrebbe spiegare con la presenza di una patologia meno forte di una psicosi vera e propria, che però può avere a che fare con il disturbo della personalità o una condizione di personalità borderline, uno stato in cui vi è una sospensione temporanea della capacità di intendere di volere. In ogni caso sarà la perizia a stabilire la qualità della personalità della donna e la capacità di intendere e di volere in quel momento.

Poi, sul caso di Elena, la psicologa aggiunge:

Sicuramente il figlicidio è un evento che nasce da diversi fattori, determinato da diverse concause. Una causa generica che possa portare ad un gesto simile non esiste, perché il motivo risiede nelle diversità di ogni singola storia, di ogni particolare della personalità: lì si nascondono le motivazioni che spingono una mamma a compiere questo gesto. Ma la cosa che colpisce di più è l’età giovanissima di questa donna. Non sappiamo nulla ancora di lei, se non per quello che fin ora è arrivato fin ora dalla cronaca. Come abbia vissuto l’esperienza della gravidanza e del parto, affrontata a soli 17 anni, se soffrisse di depressione. L’età evolutiva nell’essere umano si conclude intorno ai 25 anni, nel senso che c’è una maturazione neuronale che si conclude intorno a quell’età. Questa donna, quindi, non è ancora totalmente matura. Sicuramente non è una discriminante, ma è un fattore da considerare.

La salute mentale, o i disturbi della stessa, non sono una giustificazione per l’omicidio della piccola Elena Del Pozzo, ma sicuramente un fattore importante da considerare nello sviluppo di questa storia del tremendo epilogo. Se Martina Patti fosse stata aiutata e seguita adeguatamente, oggi staremmo parlando di lei? Forse no.

 

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