La Banda della Uno Bianca tra il 1987 e il 1994 sconvolse l’Italia con crimini efferati, era composta da sei componenti, di cui i tre Savi.
La Banda della Uno Bianca tra il 1987 e il 1994 sconvolse l’Italia con crimini efferati, operando soprattutto in Emilia Romagna. Era composta da sei componenti, di cui tre fratelli: Roberto, Fabio e Alberto Savi. Scopriamo chi erano e che fine hanno fatto.
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Chi e quanti erano i fratelli Savi, componenti della Banda della Uno Bianca?
Della Banda della Uno Bianca si è detto e scritto fiumi di articoli in giornali e quotidiani. Parecchi hanno tirato un sospiro di sollievo quando tutti i componenti sono stati arrestati. Sgomento e sorpresa sull’identità dei criminali che alla fine degli anni ottanta hanno terrorizzato l’Italia con crimini efferati, uccidendo persone innocenti, rubando nei supermercati, negli autogrill e nelle stazioni di servizio per il carburante. Tre di loro appartenevano alla stessa famiglia: Roberto, Fabio e Alberto Savi.
Roberto Savi
È il maggiore dei fratelli Savi. La vera madre di Roberto muore quando lui ha appena due anni. Suo padre, Giuliano, si risposa e dalla nuova unione nascono altri due figli: Fabio ed Alberto. Per tenere unita la famiglia, Giuliano, non racconterà mai ai ragazzi la verità. La scopriranno loro, dopo dell’arresto.
Età
Roberto Savi ha 67 anni: è nato a Forlì, in provincia di Cesena, il 19 maggio 1954, sotto il segno zodiacale del Toro.
Professione
Entrò in servizio come Membro della Polizia di Stato nel 1976 presso la questura di Bologna. Quando nel 1987 iniziò l’attività criminale della banda, aveva trentatré anni e svolgeva la funzione di operatore in volante. Nel 1992 venne trasferito alla centrale operativa per cause disciplinari: aveva rasato i capelli a un giovane ragazzo trovato in possesso di sostanze stupefacenti. Al momento dell’arresto rivestiva il grado di assistente capo ed effettuava il servizio di operatore radio nella centrale operativa.
Chi era Roberto Savi prima della Banda della Uno Bianca
In Questura lo chiamavano il monaco, ma a bassa voce, per non farsi sentire da lui. Metodico e puntuale, per tutti era davvero un agente modello. Serio, pacato, scrupoloso, anonimo. Forse un tipo un po’ troppo intransigente sul lavoro, a volte perfino zelante, ma comunque sempre uno che voleva fare il capetto.
Una piccola carriera e diciott’anni di servizio in Polizia. Dal 1976 a Bologna comincia come semplice agente, quando lo arrestano è assistente capo in servizio nella sala operativa. Lui riceve le segnalazioni di allarme e smista le auto della Polizia: è in un punto caldo e ha un osservatorio privilegiato da cui è possibile controllare tutta la città.
Tra il novembre del ’91 e il giugno del ’92, in quanto capo pattuglia, lo chiamano a tenere un corso per allievi delle Questure italiane. Alle lezioni prendono parte 500 ragazzi che devono imparare a essere bravi poliziotti, capaci di eseguire un fermo, una perquisizione, sostenere una sparatoria, svolgere il pattugliamento sulle volanti, tutto nel pieno rispetto della legge. Roberto sale in cattedra anche se da quattro anni non è soltanto un poliziotto ma è diventato anche uno spietato killer e un freddo rapinatore: ha già sulla coscienza ventun morti ammazzati.
Vita privata
Una vita privata grigia e monotona quella di Roberto Savi: un diploma di perito elettrotecnico e un decennio di matrimonio moglie. Anna Ceccarelli è la moglie che, per far quadrare il bilancio familiare, va a fare le pulizie. Un figlio di nove anni, Simone. E un appartamento di trentotto metri quadri a Borgo Panigale, con l’aeroporto a due passi e gli aerei che ti fischiano sulla testa giorno e notte. Trentotto metri quadri: due camerette, un bagnetto, l’angolo cottura. Vacanze in tenda in Toscana, a Talamone, nello stesso camping dove nessuno ricorda di averlo mai visto scambiare quattro chiacchiere.
Dieci giorni prima dell’arresto Roberto aveva lasciato la moglie per convivere con una bella ragazza nigeriana di 21 anni, Stella Okonkwo, senza permesso di soggiorno, arrivata in Italia senza a cercare fortuna. Per lei aveva affittato anche un appartamentino a Pontecchio Marconi. Prima di arrestarlo, la Polizia nel garage di casa sua ha trovato un immenso arsenale: pistole, fucili, polvere da sparo, esplosivo, munizioni di ogni tipo, parrucche e barbe finte. E anche 230 milioni in contanti. Una miseria, se si considera che quello è il denaro che resta dopo sette anni e mezzo di rapine.
L’arresto
Roberto Savi fu, in ordine di tempo, il primo componente della banda ad essere arrestato, la sera del 21 novembre 1994, mentre si trovava al lavoro in questura a Bologna. Non si mostra affatto sorpreso. Un paio di suoi colleghi lo invitano ad uscire dalla sala operativa, poi lo perquisiscono, gli sequestrano le due pistole che ha indosso e gli fanno scattare le manette ai polsi. Lui non si scompone più di tanto e lancia una frase minacciosa e beffarda allo stesso tempo, forse sollevato per la cattura:
Potevo farvi saltare tutti in aria… Meno male, un incubo è finito. Ero dentro un ingranaggio più grande di me!
Il processo e il carcere
Durante il processo, la moglie, che lo sapeva coinvolto nelle vicende criminali ma non lo aveva mai denunciato, definì Roberto un uomo strano e aggressivo, di carattere molto taciturno e schivo, che non frequentava molte persone, a parte i fratelli, e che passava gran parte del suo tempo a giocare con i videogiochi. Diverse volte, le aveva puntato la pistola contro per minacciarla. Possedeva una collezione di armi, regolarmente registrate, fra cui due Beretta AR 70, versione civile del fucile d’assalto. Ai processi, Savi stupì tutti per l’estrema freddezza con cui, beffardo e provocatorio, parlava dei reati più atroci da lui commessi. Alle domande non rispondeva un comune sì oppure no, ma con affermativo e negativo.
Tutti i processi si conclusero il 6 marzo 1996, con la condanna all’ergastolo per i tre fratelli Roberto, Fabio e Alberto Savi. Venne inoltre stabilito che lo Stato italiano versasse ai parenti delle ventiquattro vittime, la somma complessiva di diciannove miliardi di lire.
Cosa fa oggi
Nel 2006 Roberto Savi ha fatto richiesta di concessione del provvedimento di grazia, al tribunale di Bologna. La domanda venne ritirata il 24 agosto, dallo stesso Savi, a seguito del parere sfavorevole espresso dal procuratore generale bolognese, Vito Zincani. Nel 2017 ha presentato istanza di grazia al Presidente della Repubblica, chiedendo di commutare l’ergastolo in una pena temporanea. La Questura di Bologna ha dato parere negativo. A metà 2018 anche la Procura Generale di Bologna si è espressa nello stesso modo, in un parere all’ufficio di Sorveglianza di Milano, evidenziando l’assenza di qualsiasi elemento per concedere quanto chiesto dal detenuto.
Il 1º ottobre 2008, si è risposato con una detenuta olandese del carcere di Monza.
Fabio Savi
Fratello minore di Roberto e co-fondatore della banda, nel 1987. I due sono stati gli unici membri presenti a tutte le azioni criminali della Banda della Uno Bianca.
Età
Fabio Savi ha 61 anni: è nato il 22 aprile 1960, sotto il segno zodiacale del Toro.
Professione
Non ha un’attività fissa fisso e svolge lavori saltuari. Prima fa il carrozziere, poi l’imbianchino, finisce per viaggiare sui camion e dice di fare il rappresentante di prodotti per auto.
Chi era Fabio Savi prima della Banda della Uno Bianca
Trentaquattro anni, fisico massiccio ma atletico, lineamenti marcati. Come il fratello maggiore ha un fare spavaldo ma non ha amici. Frequenta soltanto i fratelli. Nel 1980 fa domanda per entrare nella Polizia di Stato: è scartato per un difetto alla vista. Come seconda passione ha le moto di grossa cilindrata. La sua prima passione, quella vera, sono invece le armi. Frequenta il poligono di tiro di Rimini ed è bravissimo, un vero tiratore scelto. Per questo il suo soprannome è Rambo.
Vita privata
Si sposa nel 1985 con Maria Grazia Angelini. Vive con lei nella casa paterna di Villa Verrucchio e nel 1989 gli nasce un figlio. Tre anni dopo lascia la famiglia per convivere con Eva Mikula, una ragazza rumena di origine ungherese. La casa è uno squallido residence a Torriana, vicino a Rimini. Con Eva non ha un rapporto serena. Lei ai magistrati lo descrive come un uomo fondamentalmente violento, brutale, essenzialmente sadico, dai gusti sessuali perversi, ossessionato dal passato della sua donna, oppressivo ed ossessivo. Le testimonianze della donna si riveleranno decisive nella risoluzione delle indagini.
L’arresto
Venne arrestato qualche giorno dopo il fratello, a ventisette chilometri dal confine con l’Austria, mentre tentava di espatriare, bloccato da un’auto della Polizia stradale.
Il carcere
Dopo la condanna all’ergastolo, venne trasferito nel carcere di Sollicciano a Firenze, e in seguito in quello di Fossombrone a Pesaro.
Il 24 settembre 2009 Fabio Savi, dopo circa un mese di sciopero della fame presso il carcere di Voghera, venne ricoverato all’ospedale della città, per motivi clinici. La motivazione dello sciopero sarebbe la richiesta da parte di Savi di essere trasferito in un carcere più vicino alla sua famiglia e la possibilità di lavorare per provvedere alla stessa. Il 4 gennaio 2010, venne trasferito nel carcere di massima sicurezza di Spoleto.
Cosa fa oggi
Nell’ottobre del 2014 Fabio Savi chiese di poter usufruire a posteriori del rito abbreviato, che avrebbe tramutato l’ergastolo in trenta anni di carcere. La richiesta venne respinta il 3 dicembre 2014, dalla Corte d’assise di Bologna. Attualmente è ancora recluso in un carcere nel milanese. Ha fatto sapere di voler scrivere un memoriale.
Alberto Savi
È il fratello minore di Roberto e Fabio. I tre formavano la struttura principale della banda.
Età
Alberto Savi ha 65 anni: è nato a Cesena, il 19 febbraio 1965, sotto il segno zodiacale dell’Acquario.
Professione
Proprio come il fratello maggiore, anche Alberto Savi è Agente di Polizia. Entra in servizio nel 1983. Al momento dell’arresto prestava servizio presso il Commissariato di Rimini.
Chi era Alberto Savi prima della Banda della Uno Bianca
Alberto Savi è debole di carattere, nessuna freddezza, nessuna arroganza: subì la personalità più forte e dominante dei fratelli maggiori. Dopo la cattura anche di Fabio, l’altro fratello, era sembrato a tutti il buono della famiglia.
Vita privata
Viveva nella casa patema di Villa Verucchio con sua moglie Antonella, sposata nel 1990, e suo figlio, il piccolo Michael. Non voleva più restare a Rimini e stava per essere trasferito.
L’arresto
Quando la mattina del 26 novembre lo ammanettano sotto la pensilina della stazione, stava partendo per Roma assieme al cognato, il fratello di sua moglie, anche lui in Polizia. Doveva andare al ministero dell’Interno per discutere il suo trasferimento. Una volta in Questura, prima ancora di essere interrogato, Alberto ha una crisi di nervi e scoppia a piangere, negando qualsiasi omicidio:
Ho fatto solo qualche rapina, fino al ’90, poi mi sono sposato ed ho smesso. Io con la banda della Uno bianca non
c’entro.
Cosa fa oggi
Sconta l’ergastolo dal 26 novembre 1994. Il 23 ottobre 2010 Alberto Savi chiese di poter uscire dopo sedici anni scontati in carcere. Dopo ventitré anni di carcere ha beneficiato di un permesso premio nel febbraio 2017, per incontrare la madre ricoverata in gravissime condizioni di salute. Dal 2019 usufruisce di un permesso premio per le vacanze natalizie.
Il padre dei fratelli Savi, Giuliano Savi, si è suicidato il 29 marzo 1998, ingoiando sette scatole di Tavor, dentro una Uno bianca, parcheggiata a Villa Verucchio, a tredici chilometri da Rimini.
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