Daniele Napodano è il padre di Maledetti anni 80, il suo ultimo singolo uscito da poco. Scopriamo qualcosa in più su di lui!
Daniele Napodano è un musicista che ha voglia di dire qualcosa: il suo ultimo singolo si chiama Maledetti anni 80 e racconta un tempo passato, che in qualche modo torna nel presente trasformando la nostalgia in consapevolezza. Le sue parole ci hanno convinto subito; lo abbiamo intervistato per voi e qui sotto trovate tutto quello che ci ha detto!
Le parole di Napodano
Allora, Daniele, partiamo rompendo il ghiaccio: parlaci un po’ di te.
Napodano Daniele, nato a Roma qualche tempo fa, emigrato o esule, come mi piace definirmi, cantautore, rattaro, pianista, amante del cucinare e del mangiare, viaggiatore e cintura nera di polemica inconcludente.
Tu sei italiano, ma vivi in Belgio. Come mai questa scelta? Hai mai rimpianto la decisione di esserti trasferito in un altro Paese?
La scelta è stata fatta perché ero stanco di lamentarmi, di ripetere che volevo cambiare vita, ricominciare da capo e mettermi in gioco da zero. Dopo un’inaspettata fortuna arrivata da una vacanza, ho semplicemente colto l’occasione di gettarmi alle spalle la negatività che probabilmente mi ero causato da solo e ho ricominciato tutto. Per il momento, nostalgia della mia famiglia a parte, non ho grossi rimpianti. E neanche piccoli!
Mi fa sorridere che ti definisci metà umano e metà ratto. Personalmente trovo che questi animali siano in realtà tenerissimi, nonostante molte persone li associno allo sporco, alle fogne o a qualcosa che fa ribrezzo. So che in passato ne hai adottati due. Ami solo i ratti o tutti gli animali in generale?
Amo gli animali in generale, assolutamente sì, nonostante io sia allergico praticamente a tutto ciò che si muove! I ratti vengono associati a tante cose negative semplicemente perché quelle positive non le conosce nessuno e nessuno sembra aver voglia di conoscerne; sono arrivato ad averne 8, una piccola colonia, e posso dire di aver imparato di più in termini di rispetto sociale e per l’ambiente circostante dai ratti che da una buona percentuale di gente che ho conosciuto. Ora non voglio mettermi a fare l’animalista estremista, non è mia intenzione, ma se ci si fermasse ad osservare i ratti, con il loro rispetto reciproco, per la colonia e per le loro regole, si potrebbe pensare tranquillamente a quanto si vivrebbe meglio se anche l’umano avesse lo stesso codice etico.
Parliamo adesso del tuo lavoro di musicista: sappiamo che hai mosso i primi passi all’interno della musica da piccolo. Questo sembra essere stato un amore folgorante. Ti va di parlarcene?
In tutta franchezza non saprei se posso definirlo amore folgorante. Ci sono nato dentro, casa mia era invasa da musicisti e la mia famiglia frequentava quasi solo musicisti, sono cresciuto sul palco, prima quello di altri, poi il mio. Non si può scegliere se respirare oppure no, se mangiare oppure no, e questa è stata per me la musica. Non ricordo la mia vita prima, non credo di poterla conoscere dopo. C’è e basta, che mi piaccia oppure no. Sai quante volte mi verrebbe di sbattere tutto contro il muro? Fare il lancio del microfono o il salto del pianoforte con gli anfibi? Poi però vado a dormire e non prendo sonno perché ho un motivetto in testa che se non lo scrivo è un peccato…
Arrivando in tempi più attuali, quindi, parliamo del tuo ultimo singolo: Maledetti anni 80. Nessuno ha mai fatto un parallelismo fra te e Raf?
Ancora no, ma ne sarei lieto! Diciamo che per quanto sia simile il tema, i due brani raccontano cose un bel po’ diverse. Abbiamo in comune la nostalgia per un periodo che probabilmente per entrambi è stato sinonimo di felicità e spensieratezza, ma il suo resta in sospeso domandandosi cosa resterà di questi anni ’80, il mio è consapevole che sono ormai finiti ma che la stessa gioia che provavo allora la sto rivivendo oggi.
Molto bella è la sensazione da te descritta nel brano: la fusione fra nostalgia, consapevolezza e serenità. Parlaci di questo singolo, di come è nato e di quello che hai provato scrivendolo e portandolo effettivamente alla nascita.
Purtroppo la risposta non sarà ricca di fantasia come ci si potrebbe aspettare! Di solito quando scrivo un brano è perché ho pensato a qualcosa, un tema, diciamo, e lo sviluppo con testo e musica; per questa canzone mi sono semplicemente guardato intorno. Ero in Italia da mio padre, per la prima volta con mio figlio in braccio, li ho guardati, guardavo le foto nella mia vecchia camera e avevo le parole in testa ancora prima di aver messo le mani sul piano.
Ecco, mi hai anticipato, noi sappiamo che sei un papà. Immaginiamo per un attimo che tuo figlio non ne voglia sapere di musica: la prenderesti molto male?
E perché mai? Prima di tutto la musica non è sempre un dono: io spesso e volentieri l’ho definita una “prova per l’anima e per la sopportazione”. Fare il musicista, soprattutto oggi, è una vocazione che spesso porta più bassi che alti, in più mettici che per portarla avanti, i sacrifici si sprecano! E poi dopo pro-zio, nonno, padre, cugini musicisti… basta! CI vorrebbe un bel politico o un notaio in famiglia!
E se invece volesse dedicarsi alla musica trap? Ovviamente scherzo, ma lo scontro fra genitori e figli è ciò che spesso ci motiva ad andare avanti e soprattutto a scegliere la nostra strada.
In tutta la mia vita posso contare sulle dita di una mano le volte che ho litigato con mio padre, ma ogni volta è stato per la musica. Lui è intransigente, non accetta che dopo la metà degli anni ’80 sia esistita buona musica, ma neanche vuole ascoltarla e magari ricredersi. Pure a me non è che piaccia tutto, anzi, però almeno cerco di ascoltare tutto e poi farmi una opinione personale. E se a mio figlio dovesse piacere la trap oppure qualcosa di osceno e inascoltabile, al massimo potrò dire “mica poteva avere pure l’orecchio raffinato del padre tra i suoi mille pregi, sarebbe stato troppo esagerato!”
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Se potessi cantare insieme a un artista ormai scomparso chi sarebbe?
Mille e una volta con George Michael.
E uno ancora in vita, invece?
Tiziano Ferro, probabilmente.
C’è una canzone che ami e che ti fa invidia perché avresti voluto scriverla tu?
Your Song di Elton John e Buonanotte Fiorellino di De Gregori!
Ultima domanda: Concludiamo le nostre interviste sempre con questa domanda: noi ci chiamiamo DonnaPOP, e per noi il termine POP rappresenta qualcosa di attraente, accattivante, di tendenza. Cos’è per te POP?
Qualcosa che arriva a tutti, stiloso e al contempo raffinato, interpretabile ma ben definito. POP è ciò che trovi per la strada o nella top class e sta bene in ogni caso!