Abbiamo intervistato per voi il cantautore veronese Mattia Colore, all'anagrafe Mattia Pattaro: ecco cosa ci ha raccontato l'artista.
Colore è Mattia Pattaro, un cantautore veronese. Recentemente ha pubblicato il singolo Permesso e quest’intervista è stata l’occasione per raccontarcelo.
Le parole di Colore
Mattia, iniziamo questa nostra chiacchierata partendo dall’ultimo tassello della tua storia artistica: il tuo nuovo brano si intitola Permesso.
Permesso è nata in quarantena, con una chitarra, una bambina che balla mentre suono (mia figlia), un foglio di carta ed un arrangiamento in testa. In fase di produzione ho cercato un suono volutamente vintage, volevo “suonasse” orizzontale, che fosse la mia Yuppi Du.
Veniamo da un periodo molto particolare, il lockdown ha messo a dura prova tutti. Per te che momento è stato?
Un periodo insopportabile che ho sopportato, come tutti. Per scrivere credo ci sia spesso bisogno di una sorta di urgenza, di non molto tempo a disposizione. Un piccolo tempo che allora spremi e al quale dai il tuo meglio, perché sai che hai solo quello. Penso che quando ti trovi davanti molto tempo, poi finisce che il tempo si allarga e scappa l’urgenza. Ma questa è solo la mia esperienza.
In questi mesi si è parlato tanto della scarsa considerazione verso i lavoratori dello spettacolo, considerati dei privilegiati. Come mai, secondo te, si fa ancora fatica a considerare l’arte un mestiere?
Vivo in Florida ora. La considerazione per ciò che è considerato arte, qui, è differente. È considerata parte della vita di tutti i giorni. Finito il lockdown, i locali hanno ripreso la musica live, solo con meno spettatori consentiti, le gallerie d’arte a fare workshop, gli spettacoli che prevedevano molti spettatori rimandati o ridimensionati. Si sbaglia in Italia a tenerla in fondo alle liste, perché è una di quelle cose che c’è sempre, quando stai bene e quando stai male, quindi fondamentale.
Quali difficoltà incontra, oggigiorno, chi fa musica?
Se stesso, spesso.
Nella tua carriera, prima come componente dei Dioniso e poi come solista, hai avuto la possibilità di lavorare al fianco di nomi di spicco dello spettacolo italiano. Te ne faccio alcuni e vorrei che mi raccontassi un ricordo legato a quel personaggio. Partiamo dal primo: Angelo Pintus.
Angelo è un amico squisito ora. Talento grande come la sua semplicità d’animo. Un ricordo con lui? La festa del suo matrimonio e la sua telefonata per dirmi «Ciao, vieni a cantare la tua canzone al palasport stasera?». Due minuti di prove, era Capodanno, il palazzetto era stracolmo. È andata alla grande.
Andiamo avanti con tre volti amatissimi dello spettacolo italiano: Conti, Pieraccioni e Panariello.
Se nasci a Verona, suonare all’Arena è una grande direzione dove puntare. Aprire il loro spettacolo lì è stato incredibile. Nel camerino, da solo, con la paura di dimenticare i testi. Li ho dimenticati, perlomeno qualche parola, ma sono stato bravo a non farlo vedere. L’emozione è sempre lo strumento più difficile da suonare nei momenti più importanti della vita. La festa dopo lo show, la festa di compleanno di Leonardo, Giorgio che imita Renato Zero con Renato Zero accanto ed io che non capisco più chi è chi, Carlo che presenta un improvvisato Sanremo dentro al locale e gli artisti che si alternano sul palchetto, e suoniamo di tutto. Con una tastiera e una chitarra. Bellissimi ricordi. I ricordi di Leonardo Pieraccioni quando la festa è finita, le luci del locale ormai spente, le bottiglie finite, ascoltare i ricordi della sua incredibile carriera. Mi vergognavo, ho sempre pensato di non meritare d’esser li quando ero con loro. Forse per questo non ho saputo goderli fino in fondo, certi momenti. Quando stimo troppo qualcuno divento timido, rispettoso.
Terzo e ultimo nome, anche se ce ne sarebbero altri ancora: Max Pezzali.
Ho aperto con i Dioniso un suo concerto al Motorshow di Bologna, dopo un casting di Red Ronnie. Belli gli anni 2000, se eri in giro con una band emergente ed avevi poco più di 20 anni…
Qualche domanda a bruciapelo: se fossi un libro, quale saresti?
Giovannino Guareschi, Lo Zibaldino.
Se fossi una canzone?
La canzone della bambina portoghese, Francesco Guccini.
Se fossi un colore?
Il nero, per l’eleganza.
Concludiamo così: il nostro magazine si chiama DonnaPOP e, per noi, il termine POP rappresenta qualcosa di bello, entusiasmante, accattivante. Cos’è per voi POP in questo momento della vostra vita?
Vorrei fosse pop il rispetto, il senso civico, la bellezza delle cose e dentro le cose, le canzoni fighe, poco importa il genere. Vorrei fosse pop stare bene. Vorrei fosse pop anche arrabbiarsi e poi far pace con un calice.
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