Michela Murgia ha attaccato duramente Sanremo, Amadeus e Levante: ecco un'analisi attenta delle sue parole e la risposta alle sue critiche.
Il maschilismo, nel nostro Paese, è ancora un problema reale, concreto, allarmante. E, se c’è ancora tanto da fare per debellarlo, è (anche) perché viene combattuto male. Michela Murgia, scrittrice e donna di spiccata cultura, recentemente, si è scagliata duramente contro Amadeus e, più in generale, contro il Festival di Sanremo. Non solo, ha avuto da ridire anche su alcune affermazioni di Levante a proposito di un tema spinoso e controverso, quello delle quote rosa.
Michela Murgia, donne-oggetto e passi indietro
Michela Murgia ha le idee chiare: Sanremo è sessista, lo è da sempre e quest’anno – se è possibile – lo è stato ancora di più. La colpa di Amadeus, oltre a quella di aver parlato di «una donna capace di fare un passo indietro», a proposito di Francesca Sofia Novello, è stata quella di averla scelta «in qualità di accessorio di uno famoso» (vale a dire Valentino Rosso, compagno della ragazza). Dunque, è bene chiarire un punto: è vero, Amadeus ha scelto Francesca Sofia Novello per il fatto di essere bella e “fidanzata di” (lo stesso vale per Georgina Rodriguez, fidanzata di Cristiano Ronaldo), ma perché la Novello, che ha venticinque anni e studia Giurisprudenza, ha accettato? Se la scelta di Amadeus è da ritenersi degradante, offensiva e umiliante, perché ha detto di sì? Avrebbe potuto rispondere «No, grazie» e continuare la sua carriera di modella e influencer. Non solo: ammettiamo di voler considerare contestabile il motivo per cui l’ha scelta, ovvero perché è “la donna di”, resta il fatto che Amadeus le ha dato un’occasione per farsi conoscere al di là dell’etichetta di “donna di”.
Ma andiamo avanti: Amadeus ha espresso un concetto apprezzabile in una forma decisamente inadeguata: il suo intento era quello di sottolineare quanto fosse ammirevole il fatto che la Novello, sebbene sia la compagna di uno sportivo molto in vista, abbia sempre preferito fare un passo indietro, non godere dei riflettori di Valentino Rossi e concentrarsi sulla propria carriera. Insomma, voleva dire che la Novello ha scelto di splendere di luce propria e l’ha voluta a Sanremo per darle un’occasione concreta per farsi conoscere e apprezzare dal grande pubblico.
Ecco, anziché voler trovare del maschilismo e del sessismo nel senso delle sue parole, forse sarebbe stato il caso di rimproverargli la forma: di un uomo si sarebbe mai detto «è capace di stare un passo indietro»? Probabilmente no, lo stesso concetto sarebbe stato espresso con frasi diverse. È la forma ad aver fatto scoppiare il caso, non il contenuto: contestare il contenuto significa essere in malafede e volergli dare un significato diverso da quello che Amadeus – di fatto – ha detto.
Amadeus è sessista?
Accusare Amadeus di sessismo, dopo aver visto il suo Festival, è estremamente scorretto. Sarebbe stato lecito farlo prima, perché c’erano tutti i presupposti per un Sanremo fallocentrico, con una manciata di donne chiamate a svolgere un ruolo puramente decorativo. Ma, alla luce di quanto accaduto, è un dato di fatto che Amadeus sia riuscito a mettere in piedi un Sanremo variegato e stratificato, fatto di donne diverse, con storie importanti e irripetibili. A ogni donna è stato concesso di portare sul palcoscenico la propria unicità.
Prima che qualcuno si stizzisca per il mio “è stato concesso“, è bene dire che Amadeus è stato chiamato a condurre e, nel momento in cui ha avuto pieno potere decisionale sul Festival, ha scelto di dare voce a dieci donne, ognuna diversa dall’altra, ognuna peculiare e necessaria a creare un mosaico vario e fatto di pezzi complementari. Ha fatto una scelta precisa e ha permesso loro di raccontare la propria verità senza limiti o restrizioni di alcun tipo.
Il problema, semmai, è da ricercare alla radice, è facile puntare il dito contro Amadeus, che ha fatto di tutto per valorizzare le sue compagne. Il problema reale, dicevo, è da ricercare altrove: perché, in settant’anni di Festival, solo quattro donne hanno condotto in solitaria la kermesse? Perché, in settant’anni di Festival, non c’è mai stata una direttrice artistica? Perché, tra gli autori della manifestazione, figurano solo uomini? Perché le cantanti in gara sono sempre numericamente inferiori agli uomini? Qualcuno crede ancora alla storia che le donne siano meno o meno brave degli uomini? Ecco, adesso ha senso parlare di quote rosa e dell’attacco della Murgia a Levante.
Quote rosa, croce o delizia?
Levante, poco prima dell’inizio del Festival di Sanremo, di cui è stata protagonista con il brano Tiki Bom Bom, ha detto quanto segue:
Sono anni che mi spendo per le donne, ma non sono a favore delle quote rosa. Non ci è dovuto un posto per forza, non abbiamo un deficit […]. Io mi conquisto quello che mi merito e se sono al festival mi auguro che sia perché la canzone è bella e io sono brava.
La Murgia ha prontamente bacchettato la cantautrice siciliana:
Molte donne intendono ancora quote rosa come una pretesa che sostituisce il merito, ma il sistema patriarcale discrimina in base al genere e non al merito. Le donne cresciute in ambienti misogini non riconoscono la discriminazione finché non le tocca direttamente. Io ci sono perché me lo sono meritata. Quelle rimaste fuori non lo meritavano abbastanza! (…) Se vuoi far reggere un sistema misogino in eterno, infila una donna in ogni selezione. Sarà lei a difendere il sistema, dicendo alle altre Io ci sono e sono brava, quindi forse siete voi che non ci avete provato abbastanza. Cara Levante, oggi quella donna funzionale sei stata tu.
Ancora una volta, però, bisogna andare al cuore della questione, ché – a forza restare in superficie – si rischia di fare il gioco delle parti. Se la soluzione al problema sono le quote rosa, significa che il problema è ben più profondo di quanto si pensi. Se l’unico modo per consentire la presenza delle donne in un determinato ambito di lavoro è l’utilizzo delle quote rosa, il problema non è affatto risolto, ma solo insabbiato. Pretendere che a Sanremo ci siano dodici uomini e dodici donne, vuol dire – inevitabilmente – togliere il posto a qualcuno che lo merita e darlo a qualcun altro, per il solo fatto di dover raggiungere un egual numero di concorrenti. Perché permettere a dodici donne di gareggiare per il solo fatto di dover raggiungere una parità numerica? Perché permettere a dodici uomini di gareggiare per il solo fatto di dover essere tanti quanti sono le donne?
Non sarebbe meglio, anche se – me ne rendo conto – appare utopico, scegliere ventiquattro canzoni in base al loro valore e alla loro bellezza (opinabile e soggettiva, ma del resto è la scelta di un singolo), senza valutare se si tratti di brani cantati da uomini o da donne? Se l’unica soluzione al numero inferiore di cantanti femmine è la scelta di optare per le quote rosa, significa che il problema viene solo sfiorato, ma non risolto.
Le quote rosa sono un palliativo e creano un’ulteriore frattura. Come se non bastasse, sviliscono in primis la donna, che non sa se è stata scelta per il proprio valore o soltanto per raggiungere un numero. Quindi, che fare? Accettare di buon grado di essere scavalcate dagli uomini, per il solo fatto che sono uomini? Assolutamente no, ma, proprio perché «il sistema patriarcale discrimina in base al genere e non al merito», sarebbe più auspicabile una soluzione che sia inclusiva in base al genere ma sappia fare distinzione in base al merito. E questo dovrebbe riguardare uomini e donne.
In conclusione…
Insomma, da qualsiasi angolazione lo si guardi e lo si affronti, il problema è alla base. Se non ci fosse stato Amadeus, ma un qualsiasi altro conduttore, se anziché dieci donne, ne avesse scelta una sola, la questione sarebbe rimasta invariata, perché ci saremmo trovati comunque di fronte a un sistema che sceglie un uomo per condurre e organizzare una kermesse e mai una donna: è questo che va modificato.
E comunque, alla luce di quanto avvenuto al Festival di Sanremo 2020, ho trovato ben più maschilista Diletta Leotta, con il suo artificioso e ridondante monologo sulla bellezza e sul tempo: la Leotta ha scelto di ricorrere a femminismo e buoni sentimenti d’accatto e ha perso un’ottima occasione per essere sincera e raccontare la verità di una donna che non ci sta ad essere un accessorio. Ma, purtroppo, la Leotta si è rivelata un accessorio di se stessa.
Di questo, però, la Murgia non ha parlato. Ma restiamo in attesa.