INTERVISTE POP: chi è Andrea Varani, il fotografo che deve tutto a suo padre

Andrea Varani è un fotografo professionista che ha avuto l'onore di scattare i volti più noti della moda e non solo.

Andrea Varani è un fotografo affermato, fa questo lavoro da praticamente tutta la vita e ha da dire qualcosa alle nuove leve della sua professione. Toscano, simpatico ed estroso: ecco chi è il fotografo che deve il suo successo a suo padre e alla passione che ha saputo trasmettergli, nel modo più naturale possibile. Lo abbiamo intervistato per voi e di seguito troverete ciò che ci ha detto!

Le parole di Andrea Varani

 

Tu sei un fotografo e fai questo mestiere da anni. Cosa ne pensi del fatto che oggi, grazie ad Instagram, tutti si sentano fotografi o artisti? Pensi faccia male ad un professionista questa svalutazione del proprio lavoro?

Sicuramente sì. Purtroppo è così e non vale soltanto per i social questo; è stato proprio l’avvento del digitale a permettere che si manifestasse tale fenomeno. La professione di fotografo è sicuramente stata svalutata, d’altra parte chi compra una moto sa benissimo che esiste un Valentino Rossi nel mondo, chi va a giocare a calcetto sa che esiste un Cristiano Ronaldo e i vari campioni. Chi invece si compra una macchina fotografica, una Canon ad esempio, si sente già un fotografo, anzi un photographer come si dice ora! (ride, ndr.)

Hai ragione. E immagino abbia ripercussioni anche sull’aspetto economico; spesso, quando si richiede un lavoro, ci si affida ad un non professionista – o inesperto – solamente perché magari richiede un onorario inferiore…

Si, ma c’è anche tanta ignoranza. Chiaramente se un fotografo ti offre una prestazione per un prezzo troppo basso, non può garantirti il buon lavoro che invece ti garantirebbe un professionista, questo è certo. E i social purtroppo hanno contribuito anche a questo: a dare credibilità a tanti sprovveduti che si sentono arrivati. L’ignoranza del pubblico avvalla questa tesi. E c’è anche da dire che chi promuove il proprio prodotto sui social ha bisogno di tanto materiale e non sta a guardare la qualità dell’immagine, come magari si faceva un tempo. Il social è immediato, scorre veloce e, anche se la qualità è più bassa, poco importa. Basta postare. E difatti si vedono pagine di fotografi che fanno ridere, ma oggi è una realtà. Comunque, da professionista, ti dico che alla fine questa cosa può dar fastidio fino ad un certo punto: il nostro pubblico è un altro, deve essere un altro. Anche se bisogna dire che sì, come professione, quella del fotografo purtroppo oggi è un po’ scaduta.

Questo è davvero un peccato…

Sì, anche se poi vedi che chi ricerca la professionalità è disposto a pagare per quello che chiede, per l’esperienza del fotografo e per il suo background. Io sto lavorando più di prima, ad esempio, ma mi accorgo di quanto siano cambiate le cose. Mi capita di lavorare per clienti che investono molto sul personaggio, che sia una modella di livello o che sia una blogger sono tutti personaggi che ti impongono il fotografo. Mentre invece chi vuole Bianca Balti tratta una cifra e la prima domanda che si sente fare è «Chi è il fotografo?» e se la risposta non piace o non si considera un professionista valido quello menzionato, si cambia semplicemente o viene proposto qualcun altro. Quindi per fortuna in questo senso l’equilibrio è rimasto invariato: c’è ancora chi sa riconoscere la professionalità e dunque il suo prezzo. Prima c’era più soddisfazione nel fare questo lavoro; magari lavoravi meno, ma guadagnavi molto di più e avevi il tempo di focalizzarti su qualche altro progetto, ma va bene anche così, non ci lamentiamo!

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Per i tuoi set ti ispiri al personaggio che stai per fotografare o lasci che sia quest’ultimo ad adattarsi al tuo estro?

Dipende. E dipende soprattutto dal personaggio; un personaggio va rispettato di più rispetto ad una modella. Quindi sì, cerchi di conoscerlo più possibile, cerchi di capire le sue certezze, le sue sicurezze e fare in modo che sia tutto armonico. Dipende anche dal tipo di lavoro: un ritratto richiede necessariamente che esca fuori la personalità, mentre se si parla di moda è proprio un’altra cosa. Lì c’è una ricerca più formale, se lavori in studio ti concentri sulla donna, sul prodotto in generale. Se lavoro in esterno e ho la possibilità di sfruttare posti esotici mi piace far vedere l’ambiente; quindi la moda si fonde con il paesaggio. Adoro viaggiare e far vedere al pubblico ciò che stiamo facendo.

Chi ti piacerebbe fotografare che ancora non hai fotografato?

Ah, questa è una domandona! Una modella che mi è mancata e mi è sempre piaciuta è Christy Turlington, quindi ti direi lei. Anche se oggi avrà l’età mia, ma è ancora bella. Fin da ragazzo mi ha sempre colpito molto.

Hai mai avuto un sogno fotografico nel cassetto, che poi hai realizzato?

Dove sarei voluto andare, sono andato, mi ritengo molto fortunato. Una delle spinte maggiori che mi ha fatto scegliere questo mestiere è stata proprio la possibilità di viaggiare; prima per altro ci riuscivo di più, oggi invece riesco a farlo soprattutto grazie giornali stranieri. Il mio sogno era l’Himalaya e negli ultimi anni ci sono stato due volte: ho scattato a 5200 metri, ti manca l’ossigeno, ma ti senti sul tetto del mondo. Lo senti proprio ai tuoi piedi. Poi l’Africa…ho fatto tantissimi servizi lì, non solo di moda. E quello per me era un altro sogno che sono riuscito a realizzare; tutt’oggi propongo l’Africa come set naturale per tantissimi lavori e se non ho commissioni, magari ho una settimana di tempo libero, parto e vado a fare qualcosa da solo, qualcosa per me.

Ecco, stavo giusto per chiederti cosa rappresenti per te la fotografia e in gran parte mi hai già risposto, vuoi aggiungere altro?

La fotografia per me è tutto; è qualcosa che mi muove. Non ho molto tempo per fare ricerche personali, ma se ho una settimana libera vado a farmi un safari. E lo faccio solo per me perché quelle foto alla fine nemmeno le pubblico, le tengo in archivio. Ecco, un mio progetto è quello di aprire una galleria tutta mia, in Messico, dove ho una casa da diversi anni. Aprire una galleria significherebbe esporre tutte quelle foto che ho fatto solo per me, nei ritagli di tempo.

Quale dei personaggi che hai fotografato è stato il tuo preferito?

Io preferisco fare moda, perché sento di essere più libero. Il personaggio lo devi rispettare e quindi va ritratto per come è, per come è giusto ritrarre la persona e non per come vorresti fotografarla tu. Non c’è un personaggio che mi ha colpito più di altri, posso dirti magari il più simpatico, il più antipatico, quello più difficile, ma non ce ne è stato uno che mi ha colpito davvero nel profondo.

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Molti pensano che basti aggiungere due filtri ad una foto perché questa magicamente diventi un capolavoro. Sappiamo, però, che molto, nella resa, dipende dalla luce che si sceglie, dalle gelatine e tutto il resto. Trovi che ci sia oggi una concezione diversa di fotografia rispetto al passato?

No, la concezione di fotografia non è cambiata e non può cambiare. Alla base della fotografia c’è la luce; quindi che tu raccolga quella dell’ambiente e la gestisca a tuo piacimento o la ricrei in studio con luci artificiali, resta comunque fondamentale. Fotografia deriva dal greco: scrivere con la luce, quindi questo non può assolutamente prescindere dal concetto stesso. Dunque no, non è cambiata, ma non credo nemmeno che cambierà mai. Se non c’è una bella luce non può esserci una bella foto.

Qual è la cosa più difficile che hai fotografato?

Più difficile? (ride, ndr.) Difficile è stato sicuramente il lavoro fatto sull’Himalaya, perché mi sono ritrovato lì per la prima volta senza nemmeno averlo previsto; era un lavoro commissionato in India ed erano i primi di luglio. In Italia faceva un caldo che si moriva e mi sono detto “Figurati se in India farà freddo” e invece mi sono ritrovato a scattare a più di 5.000 metri senza nemmeno l’abbigliamento adatto, oltre che alla preparazione fisica. Abbiamo fatto un giorno intero a 3.000 metri al campo base per abituarci a quell’altitudine. È stato difficile da un punto di vista fisico, ma stupendo. Pensa, sono arrivato lì in maglietta, senza nemmeno una felpa. Per fortuna mi hanno prestato un pile… l’ho tenuto tre giorni addosso, non me lo toglievo nemmeno per dormire! (ride, ndr)

Ti sei mai ispirato a qualcuno o hai cercato di avere da subito una tua identità artistica?

Non ho calcolato tanto, ho sempre e solo fatto quello che mi piaceva fare. Mio padre era fotoamatore e quindi prima ancora che mi appassionassi alla fotografia, l’ho quasi subita. Mi interessava, ma fino ad un certo punto, era più un modo per condividere il tempo con lui, magari quando in camera oscura ci mettevamo a stampare in bianco e nero…era una cosa che mi divertiva. Quindi stando con lui e conoscendo altri fotoamatori mi sono addentrato in questo mondo e ho iniziato ad apprezzare tanto anche le foto di paesaggio. Forse è per quello che l’ho riportato anche nella moda, il viaggio, il paesaggio…introdurre un soggetto vivo al suo interno. All’epoca non c’erano molti fotografi a fare quello che facevo io, quindi l’ho fatto senza calcolare molto, senza ispirarmi a nessuno in particolare. Mi piaceva e basta. Mi divertiva e mi dava più del ritratto e di altre espressioni. È venuto tutto naturale ed erano tempi più facili: non c’era concorrenza e non c’erano social; ci si concentrava di più e si facevano più lavori di ricerca. Le mie foto migliori le ho fatte proprio in quegli anni.

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A proposito, qual è la tua foto migliore?

Forse la devo ancora scattare. Mi auguro di doverla ancora scattare, ce ne sono tante che mi piacciono, ma mi auguro che la migliore debba ancora arrivare…significherebbe che ho ancora del tempo davanti.

Se potessi rubare una foto a qualcuno, quale sarebbe?

Questa è una domanda difficile a cui rispondere. Tornerei a Christy Turlington, ci sono tantissime foto sue fatte da altri che avrei voluto scattare io. Non so se è per una punta d’invidia nei confronti di chi è riuscito a fotografarla o da una sorta di ammirazione nei suoi confronti. Anche il nostro Fabrizio Ferri, con lui siamo anche amici ed è riuscito a fotografarla tantissimo. Ecco, forse molte foto sue mi sarebbe piaciuto aver fatto, sempre alla fine degli anni 80…e per altro in quel periodo lavoravamo insieme, per lo stesso giornale. Però lui la fotografava ed io invece ero troppo giovane per poterci sperare.

Concludiamo le nostre interviste sempre con questa domanda: noi ci chiamiamo DonnaPOP, e per noi il termine POP rappresenta qualcosa di attraente, accattivante, di tendenza. Cos’è per te POP?

A me viene da dirti la Pop-art. L’ho sviluppata tanto in passato la pop-art nei miei lavori, anzi mi piacerebbe anche rifarlo. Ora che ne stiamo parlando mi è venuta voglia di riproporlo. L’ho seguita tanto e mi è stata d’ispirazione…non ho avuto più occasioni, ma potrebbe essere questo il momento giusto per riproporla a qualcuno.

Andrea lo trovate su Instagram come @andreavarani

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